Le ultime analisi sull’uso dei dei fondi Ue ne rivelano il doppio volto. Sono decisivi per i nostri investimenti pubblici ma sempre di più finiscono per sostituire l’intervento che spetterebbe allo Stato.
L’andamento generale
Dai Conti pubblici territoriali 2017 redatti dall’Agenzia per la coesione emerge la straordinarietà del 2015, ultimo anno
di spesa della programmazione dei fondi Ue 2007-2013: la spesa in conto capitale al Sud è cresciuta, con un livello pro capite
che per la prima volta ha addirittura superato quello del Centro-Nord. Ma l’eccezionalità dell’anno non deve ingannare: per
il 2016 si parla di una spesa nazionale che scende a 35,2 miliardi, in calo del 6% soprattutto per il nuovo tracollo del Mezzogiorno
(-17%).
Fondi «speciali» e ordinari
I dati appena citati si riferiscono al totale della spesa in conto capitale (investimenti e trasferimenti a imprese e famiglie).
Ma vanno spacchettati per capire il peso dell’impegno “nazionale”.
Le risorse per lo sviluppo e la riduzione dei divari territoriali - Fondi strutturali comunitari, Piano di azione coesione e risorse nazionali del Fondo di sviluppo e coesione - sono arrivate a pesare nel 2015 per il 72% a fronte del 28% di quelle ordinarie. Una nuova elaborazione ad hoc fatta depurando l’analisi dall’eccezionalità dell’anno, e usando una media triennale (2013-2015), conferma che lo sbilanciamento è evidente: su 691 euro di spesa in conto capitale che la Pubblica amministrazione effettua per un singolo cittadino meridionale solo 239 euro arrivano dai fondi ordinari, cioè quelli che lo Stato – semplificando il concetto – mette a disposizione completamente “di tasca sua”. Al Centro-Nord il rapporto è ribaltato: 508 euro di spesa ordinaria pro capite e 87 di spesa straordinaria. Non è solo questione di numeri. L’effetto – al netto della capacità di spesa effettiva delle diverse regioni – è la mancata addizionalità dei fondi “straordinari” che anziché andare a ridurre i divari tra territori sostituiscono di fatto spesa ordinaria che lo Stato dovrebbe comunque garantire. Si scopre così che – sottolinea l’Agenzia per la coesione – le cosiddette risorse aggiuntive “correggono” la caduta della spesa ma di fatto rendono sempre più irrilevante la politica ordinaria.
Un’ulteriore evidenza emerge dal Quadro finanziario unico ed è l’effetto di sostitutività all’interno delle stesse politiche di coesione. Le risorse aggiuntive nazionali (il Fondo sviluppo coesione, prima noto come Fas), che erano arrivate a pesare per il 50%, sono scese nel Mezzogiorno a poco più dell’11%. Negli anni, infatti, questo Fondo è stato sempre più usato impropriamente per finalità anticicliche di contenimento della finanza pubblica. E, così, il compito di garantire la politica di sostegno è lasciato quasi integralmente alle risorse europee.
La norma sul riequilibrio
È in questo scenario che, alla fine del 2016 nell’ambito del decreto Mezzogiorno, è nata l’idea di recuperare un vecchio principio
di legge mai applicato: destinare al Sud un volume complessivo di stanziamenti ordinari in conto capitale della sola Pa centrale
proporzionale alla popolazione di riferimento, quindi pari ad almeno il 34%. Oggi siamo al 28,4%. Ma la norma, anche a causa
dell’assenza di un vincolo di cogenza, rischia di restare su carta. È stato emanato un Dpcm attuativo ma manca la delibera
della presidenza del Consiglio che dovrebbe individuare annualmente i programmi di spesa attraverso cui perseguire l’obiettivo
del riequilibrio territoriale. «Tecnicamente saremmo pronti» fanno sapere dal governo, ma ci sono dubbi sull’opportunità politica
di farlo mentre si sta ancora lavorando a un nuovo esecutivo. Il vincolo del 34% sembra piacere al Movimento 5 Stelle. Non
si è ancora espresso ufficialmente il centro-destra, nel quale è da decifrare il pensiero della componente Lega su una norma
molto vincolante a favore del Mezzogiorno.
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