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l’italia vista da londra

Nelle sale operative della City il «caso BTp» ora preoccupa più di Brexit

La City di Londra vista dal ponte di Waterloo (Afp)
La City di Londra vista dal ponte di Waterloo (Afp)

La City of London non è un posto per «Brexiteers». La piazza finanziaria londinese, avversa a qualsiasi forma di Brexit, sta vivendo la trattativa tra il governo May e Bruxelles come una lunga e lenta agonia, angosciata dallo scenario più probabile e il peggiore, fatto di aumento dei costi, perdita di posti di lavoro, crollo del Pil e del mercato immobiliare, caos legale, instabilità politica e tensioni sociali alle stelle.

Eppure, in quegli stessi grattacieli dallo Square Mile a Canary Wharf, il BTp e l’Italia preoccupano in questi giorni traders e investitori esteri più di Brexit.

Il rendimento del BTp giovedì mattina è salito a razzo di 18 centesimi senza motivo apparente, senza scontare notizie clamorose negative e venerdì i prezzi hanno accentuato la caduta solo perché il Governo Lega-M5S sta pensando alla manovra finanziaria: «Agosto è il mese degli scambi rarefatti per definizione, ma come ne uscirà il BTp, che oramai è in perenne crisi di liquidità?», si è domandato un trader, per il quale il mercato dei titoli di Stato italiani non è più lo stesso da quel drammatico 29 maggio quando il movimento dei prezzi e rendimenti dei BoT dei BTp da due anni (dallo 0,89% al 2,43% in una seduta) a dieci anni (salito al 3,10%) fece rimpiangere lo spessore degli scambi del 2011.

Poca liquidità sui BTp
«Sul mercato dei BTp, all’apparenza un maxi-mercato da 1.500 miliardi di titoli, non è più possibile fare uno scambio di una consistenza anche modesta, devi spacchettarlo e poi hai problemi a ricoprirti la posizione, rischi di trovarti ingabbiato senza accorgertene e senza motivo, da un momento all’altro», si lamentava ieri un operatore. Nessuno a Londra ha dimenticato il 16 maggio, giorno in cui uscì l’indiscrezione sulla vecchia bozza di programma del governo Lega-M5S, che chiedeva il congelamento dei 250 miliardi di titoli di Stato italiani nel bilancio della Bce/Banca d’Italia. E che portò il BTp decennale sopra il 2%, soglia sotto la quale da allora non è più ridisceso con costi aggiuntivi per le finanze pubbliche, numeri giganti rispetto ai risparmi su vitalizi e simili.

La City si prepara quindi ad altri shock made-in-Italy. E non per colpa delle fake news, con le quali i mercati convivono da sempre nella forma delle stranote «voci non confermate». La realtà supera spesso la finzione, e ora basta poco, anche un sussulto, per scuotere i BTp gettandoli nel cocktail shaker dei mercati.

Si chiude l’ombrello Bce, e anche quello delle banche
In vista della prima legge di bilancio del governo Lega-M5S, nella City si è accesa la spia «allacciatevi le cinture» per la forte turbolenza in arrivo: agli occhi dei mercati le promesse elettorali dei due partiti come flat tax e reddito di cittadinanza sono incompatibili con gli obiettivi di bilancio già illustrati in Parlamento, salvo smentita nei fatti. C’è di più: traders e investitori esteri temono quel che non si vede, quel che si progetta dietro le quinte con una lunga schiera di consiglieri economici euroscettici e senza scrupoli accorsi alla corte di Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Qualsiasi deficit sopra quell’1,2% potrebbe rivelarsi ostico da piazzare dal prossimo gennaio, quando sparirà dalla scena la Bce, quel compratore inossidabile che dal marzo 2015 ogni mattina è entrato sul secondario (e continuerà a farlo fino a fine dicembre) a rincuorare i traders con i suoi sistematici acquisti netti di BTp. Dall’anno prossimo Bce/Banca d’Italia si limiteranno a riacquistare i titoli di Stato italiani che andranno in scadenza, e lo faranno senza preannunciare data ed entità degli acquisti. Le banche italiane potrebbero limitarsi a riacquistare i BTp in scadenza, per il chiasso che si fa sulla loro esposizione al rischio sovrano. Con quale premio a rischio, si domanda la City, il Tesoro italiano dovrà collocare le aste delle emissioni nette positive? Altra fonte di tensione in arrivo è il calendario dei rating che prevede l’Italia il 7 settembre con Moody’s, il 26 ottobre con S&P e il 7 dicembre con Scope.

Quando non è impegnata a calcolare i rischi di Brexit, la City si concentra sul rischio-Italia. L’uscita di scena di Mario Draghi da un lato e un governo populista euroscettico che non chiederebbe mai aiuto al fondo salva-Stati dall’altro lato sono due fattori che depotenziano le OMTs - gli acquisti di bond della Bce vincolati a un programma di aggiustamento dei conti - dileguandone la portata deterrente. E tutto questo si colloca dentro la cornice di un 2019 minacciato dalla mina vagante delle trovate di Trump, l’incognita delle elezioni europee e Brexit: dal rischio-Italia all’euro a rischio visto da Londra il passo è breve.

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