GENOVA - «Un boato incredibile, poi una nuvola di polvere». «Ho pensato ad una bomba, un terremoto, un incidente aereo». Seduti su una panchina di via “Walter Fillak”, Giovanna e Nino ancora non credono a quello che hanno visto dalle finestre: all'improvviso, come inghiottito dal temporale che si era scatenato su Genova, il ponte Morandi, che da 50 anni sovrastava la loro casa, è svanito. La stessa incredulità di chi è riuscito a fermarsi sul cavalcavia, qualche metro prima del baratro o di chi ora ripete a se stesso e ai cronisti di essere «un miracolato».
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«Era una scena apocalittica». Davide Capello, 33 anni, portiere della squadra del Legino Calcio era diretto verso il centro di Genova, quando in un attimo ha visto davanti a sé solo «il vuoto e l'inferno. E poi per fortuna, due braccia che lo tiravano fuori dalle lamiere». Le sue braccia, invece, insieme alle cinture di sicurezza e a tutta la freddezza possibile, hanno permesso ad un camionista, di restare in bilico, sospeso proprio sul limitare del precipizio. Riuscendo alla fine a salvarsi, mentre il suo tir verde, con l'insegna dei supermercati Basko, è rimasto con le luci accese sull'orlo del baratro, immagine simbolo di un disastro che gli abitanti della zona, però, considerano “annunciato”.
«Sono anni che conviviamo con la paura del ponte», raccontano ora in tanti, nel centro civico di via Buranello, struttura
polifunzionale di Sampierdarena, che ha aperto le porte agli sfollati del Morandi. Almeno undici i palazzi di via Porro e
Fillak, fatti evacuati, più di 440 le persone che hanno passato la notte fuori, soprattutto per il timore che nuovi pezzi
del “ponte di Brooklyn”, come era chiamato tra la gente, possano ancora cadere. Le famiglie arrivano con valigie, coperte,
gabbiette per i gatti. Come dopo un terremoto. E con la stessa consapevolezza di essere dei miracolati.
Per qualche ora, i racconti dei superstiti si mescolano alla rabbia di chi ora elenca i ripetuti allarmi di esperti, imprenditori, altri cittadini che già da anni avevano messo in dubbio la tenuta del ponte. All'ombra del Morandi, è nato anche il comitato via Porro, con le battaglie anti Gronda - il progetto di costruzione di una nuova bretella autostradale – e le denunce all'amministrazione, nei mesi della manutenzione straordinaria notturna, la scorsa estate. La storia del ponte tra i residenti del quartiere tutti hanno imparato negli anni a conoscerla, anche gli stranieri. Dalla costruzione, 50 anni fa, all'aumento esponenziale di traffico, ai dibattiti sulla nuova infrastruttura, agli allarmi, fino all'ipotesi, poi svanita, dieci anni fa di una demolizione controllata.
«Ora il ponte sarà abbattuto», annuncia il sottosegretario alle Infrastrutture, Enrico Rixi. Sarà abbattuto ora, solo dopo
essersi già sgretolato, con le vite di camionisti al lavoro, turisti in viaggio verso l'acquario, bimbi in vacanza e genovesi
che si spostavano da una parte all'altra della città.
«Cosa certificavano i periti, che venivano in continuazione? C'erano sempre lavori in corso, anche ora», s’infervora un anziano,
preoccupato di essere uscito di casa senza le medicine. Anche ora c'era in atto una manutenzione, si dovevano sostituire i
tiranti in cemento. E solo a fine luglio, del ponte si discusse anche in Consiglio comunale. Tutto questo, tutte le manutenzioni,
tutte le perizie, tutti i rapporti della società Autostrade sul ponte che unisce la Liguria diventeranno materia per l'inchiesta
per disastro e omicidio colposo plurimo, al momento aperta a carico di ignoti dal procuratore di Genova, Francesco Cozzi,
che non vuol sentir parlare del cielo, dei fulmini, di accidenti. «Dovremo verificare la progettazione, l'esecuzione dei lavori
e la manutenzione. L'unica cattiva sorte è di chi ha visto il ponte sgretolarsi sotto ai piedi».
Increduli e scioccati, fino a tarda sera i familiari di chi all'improvviso aveva smesso di rispondere al cellulare sono arrivati al policlinico San Martino, dove cartelli con delle frecce indicano il percorso verso “l'accoglienza parenti crollo ponte Morandi”. Qui, in un corridoio dalle pareti pastello, decine di famiglie sono rimaste per ore sospese. In attesa di mostrare le foto di fratelli, figlie, nipoti, spariti all'improvviso alle 11.56 della vigilia di Ferragosto. A tarda sera, i loro cellulari squillano ancora, ma nessuno risponde. Aspettano, poi vanno a vedere la distesa di corpi senza vita, allineati nell'obitorio all'improvviso troppo pieno. E quando escono, non c'è più spazio per alcuna incertezza o vaga illusione. Solo disperazione, per «morti assurde, ingiuste», singhiozza una signora albanese, che ha perso il nipote ventenne. Eppure anche così si può morire in Italia in una mattina d'estate, per un ponte che all'improvviso si sbriciola sotto ai piedi. Come nei peggiori film americani.
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