Lo Stato può davvero revocare la concessione ad Autostrade per l’Italia, come annunciato stamattina dai vicepremier Di Maio e Salvini e dal ministro delle Infrastrutture Toninelli? Pare difficile: ci sono problemi giuridici, politici e finanziari. Tutto induce a pensare che l’Italia non possa permettersi una misura così drastica. In ogni caso, questo dossier è davvero uno dei più probanti per un governo che si definisce «del cambiamento»: si tratta di incidere su assetti consolidati e per farlo occorre ben più degli annunci ferragostani.
La questione giuridica
In linea di massima, una concessione è revocabile, se ci sono gravi motivi. E la posizione di Autostrade per l’Italia si è fatta difficile con il crollo di Genova, che peraltro è l’ultimo di una serie di episodi perlomeno controversi: il crollo di un cavalcavia dell’A14 l’8 marzo 2017 e di alcune pensiline di caselli e portali segnaletici intorno al 2010, il sequestro per alcuni mesi nel 2014 di un altro cavalcavia a rischio, denunce pendenti presso varie Procure su altre opere con possibili prolemi strutturali, la sentenza del 10 aprile scorso sulla contraffazione del brevetto del controllo della velocità Tutor e il processo di Avellino per la morte di 40 persone su un bus precipitato dal viadotto Acqualonga della A16 il 28 luglio 2013. In quest’ultimo caso, sono coinvolti direttamente i vertici aziendali e la sentenza di primo grado è attesa per il prossimo dicembre (sarà peraltro da valutare se eventuali condanne faranno perdere i requisiti di onorabilità previsti da alcune normative speciali, in assenza di specifiche previsioni statutarie).
Ma le incognite giuridiche su una possibile revoca sono tante, a partire dal fatto che non è mai stata mossa alcuna contestazione formale per gravi inadempienze, come richiesto in prima battuta dalla convenzione. Poi occorrerà vedere come il ministero delle Infrastrutture riuscirà a dettagliare le accuse che ora muove alla società. Potrà farlo solo con il materiale in possesso della sua Svca (Struttura di vigilanza sulle concessioni autostradali, ex-Ivca, incorporato nel 2013 dopo che per decenni la vigilanza era stata discutibilmente affidata all’Anas), che non ha mai brillato per efficacia. Per esempio, i controlli sulle condizioni delle infrastrutture venivano svolti spesso da vetture in movimento, senza deviare il traffico per esami più approfonditi. La Svca, poi, non ha abbastanza personale per fronteggiare i suoi compiti istituzionali (problema comune a molti uffici ministeriali).
Difficile stabilire se queste carenze del controllore siano dovute solo alla tradizionale inerzia della pubblica amministrazione o anche a collusioni (della politica e/o della dirigenza) con i controllati: ci sono stati tanti episodi dubbi, ma non ne è mai stata sancita una rilevanza penale. Sta di fatto che gli elementi in mano al ministero al momento per disporre la revoca non sono molti, tanto più che ad oggi Autostrade per l’Italia non ha riportato condanne nemmeno per gli episodi controversi citati prima. E per arrivare a una verità giudizialmente accertata su Genova ci vorranno anni.
Inoltre, è prevedibile che un eventuale provvedimento di revoca della concessione verrà impugnato da Aspi, aprendo un contenzioso che non potrà non essere lungo e combattuto data l’importanza della posta in palio.
In ogni caso, al momento è difficile dire di più: le inadempienze del gestore vanno valutate alla luce delle convenzioni che regolano le concessioni loro affidate, che sono segrete. O, meglio, sono state rese pubbliche l’anno scorso dopo decenni di polemiche, ma con importanti omissis.
Il fronte finanziario
Al di là dei tanti sospetti di collusione tra controllore e controllato (evocati esplicitamente anche oggi da Di Maio) dei rapporti tra politica e impresa che nascono dalle dinamiche del potere, nel caso delle autostrade c’è anche un problema concreto di finanza pubblica: lo Stato non ha soldi da mettere per nuove costruzioni e ampliamenti. Tutto viene finanziato con capitali trovati dai gestori, che vengono remunerati come previsto dalle concessioni: con aumenti tariffari e proroghe delle concessioni (tanto che spesso i gestori programmano investimenti che paiono dettati più dalla volontà di ottenere proroghe per continuare a incassare i pedaggi).
Questo è, assieme alle eventuali collusioni, il motivo per cui lo Stato ha poco potere contrattuale nei confronti dei concessionari. E significa due cose:
- lo scarso potere contrattuale fa sì che le clausole previste dalle convenzioni diano pochi margini di manovra allo Stato per eventuali revoche delle concessioni;
- una revoca ingenererebbe tra gli investitori l’idea che finanziare il settore autostradale italiano non sarà più remunerativo come un tempo, provocando almeno nel lungo termine disimpegni e difficoltà nel reperire nuovi capitali.
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