C’è anche la complicata partita a scacchi sul presidente della Rai ad agitare la maggioranza gialloverde alla ripresa dell’attività politica a settembre. Siamo ancora fermi al 1° agosto, quando la commissione parlamentare di vigilanza Rai ha bocciato la nomina a presidente di Marcello Foa, voluto da Lega, M5S e Fratelli d’Italia, ma non da Forza Italia, Pd e LeU. Gli scenari sono due: o la maggioranza giallo-verde insiste su Foa, esponendo la Rai ai ricorsi, oppure dà indicazione a Foa di dimettersi e si procede con una nuova trattativa con l’opposizione per trovare un nome condiviso.
La scelta del Cda Rai
La vicenda parte a metà luglio, quando il parlamento sceglie i due deputati e sue senatori nel Consiglio di amministrazione della Rai: Rita Borioni (Pd), Beatrice Coletti (M5S), Igor De Biasio (Lega) e Gianpaolo Rossi (Fratelli d'Italia). Come rappresentante dei dipendenti della Rai è eletto Riccardo Laganà. Pochi giorni dopo il ministero dell’Economia, su indicazione del governo, propone Fabrizio Salini come amministratore delegato e Marcello Foa come nuovo presidente. Il 31 luglio Foa incassa l’ok dal Cda alla sua nomina a presidente: sì con 4 voti su 7 (si astiene Laganà, vota no Borioni
e Foa stesso non partecipa).
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Il no della Vigilanza Rai
Ma, in base alla legge, per diventare effettiva, la nomina di Foa ha bisogno dell’ok dei due terzi della Vigilanza Rai (27 su 40). Il primo agosto si effettua la votazione, ma i 23 voti di Lega, M5S a cui si aggiungono anche quelli di FdI, non bastano. Servono anche i 7 di Fi, ma gli azzurri non partecipano alla votazione, insieme ai componenti del Pd e di LeU, impedendo nei fatti l’elezione di Foa.
La rottura nel centrodestra
La mancata elezione di Foa provoca una spaccatura profonda nel centrodestra. Foa, ex giornalista del Giornale, di area centrodestra, è l’uomo voluto da Matteo Salvini per guidare la nuova Rai, su cui sono confluiti anche i grillini e su cui il leader leghista dava in qualche modo per scontato l’appoggio azzurro.
Ma Fi ha rimproverato alla maggioranza giallo-verde di aver imposto il nome di Foa senza intavolare una vera trattativa con l’opposizione. Su questo gli azzurri non potevano cedere: dopo aver ceduto alle forzature leghiste sulla elezione della presidenza del Senato e sulla nascita del governo, il rischio era di condannarsi all’irrilevanza.
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Il rompicapo normativo
Nonostante il no della Vigilanza, Foa, in quanto consigliere più anziano (ruolo contemplato dallo statuto Rai) può coordinare i lavori del consiglio di amministrazione. Le regole prevedono però che eserciti le funzioni di presidente solo in mancanza di un vicepresidente, che a sua volta può essere nominato sono dopo la nomina del presidente da parte della Vigilanza Rai. Un gatto che si morde
la coda.
I due scenari: rottura o nuovo dialogo
A questo punto sono possibili due scenari. Foa, in quanto consigliere anziano potrebbe avere indicazione dal governo di “fare
finta di niente” e in quanto consigliere anziano continuare a coordinare il Cda e procedere alle nomine dei vertici di testate e di reti (la vera partita politica intorno alla tv di Stato). Questa sembrerebbe l’intenzione della Lega. Più prudenti i 5 Stelle, che vorrebbero evitare forzature (forzature che non piacciono neanche al Quirinale) per evitare il rischio di incartare la Rai all’interno di possibili contenziosi
giuridici. La seconda strada: il governo potrebbe dare indicazioni a Foa di dimettersi (magari destinandolo a un altro incarico in Rai), per ricominciare da zero e intavolare una nuova trattativa (anche con le opposizioni) per trovare il nome per un nuovo presidente Rai.
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