La sensazione nelle ore che precedono l’apertura del vertice europeo informale sul tema migranti, oggi e domani a Salisburgo, è che alla fine si vada verso un nulla di fatto, e che le regole che oggi vedono i paesi geograficamente prossimi all’Africa, Italia e Grecia tra tutti, sobbarcarsi la gran parte degli sforzi in materia di gestione dei flussi migratori, resteranno come sono rimaste fino ad ora. All’appuntamento gli Stati del Vecchio Continente arrivano ancora una volta divisi. Si inizia questa sera con la cena dei capi di Stato e di Governo europei al Felsenteitshule Theater. Si continua domani, con la sessione di lavoro alla Kammermusiksaal/Solitar della Mozarteum University.
Conte a Kurz: serve una risposta europea per evitare un nuovo caso Diciotti
Il premier del governo M5s-Lega Giuseppe Conte è stato chiaro. Nell’incontro di martedì con il cancelliere austriaco Sebastian
Kurz - l’Austria ha fino a dicempre la presidenza di turno dell’Unione - ha spiegato che se l’obiettivo è fare in modo che
non si verifichi più un nuovo “caso Diciotti”, il pattugliatore della Guardia costiera italiana che per giorni è rimasto alla
fonda davanti al porto di Catania in attesa del via libera per sbarcare i 177 migranti salvati il 16 agosto al largo di Lampedusa
, serve «una risposta europea» sui migranti, più investimenti nel Nord Africa e la revisione dei protocolli delle missioni
Sophia e Frontex. Richieste che sono destinate a rimanere inascoltate. Ancora una volta la fotografia scattata in queste ore
ritrae un Italia che fa pressing su questi temi, e un’Europa che fa muro.
La prima richiesta dell’Italia: più investimenti nel Nord Africa
Per la sua collocazione geografica tra Europa e Africa (l’isola di Lampedusa, estrema punta meridionale della Penisola, dista
167 chilometri dalla Tunisia e 355 da Tripoli) l’Italia è in prima linea nella gestione dei flussi di migranti che, partiti
dai Paesi del Sahel, raggiungono la Libia per poi attraversare il Mediterraneo. Il governo Conte, così come i precedenti di
Renzi e Gentiloni, ha chiesto all’Europa di aumentare i fondi per il Nord Africa. Roma richiama spesso il “modello Turchia”,
alla quale sono stati versati in due tranche sei miliardi per accogliere i rifugiati in fuga dalla Siria, ed evitare che
queste persone raggiungessero in massa l’Europa. Bruxelles, è la richiesta avanzata ora dall’Italia, deve destinare all’Africa
risorse analoghe a quelle che ha trovato per Ankara. «L’Europa ha i mezzi per attuare una strategia globale di investimenti
verso l’Africa sino a 50 miliardi di euro nel budget 2021-2027 che in autunno entra nella fase di definizione dei capitoli
di spesa», ha sottolineato il presidente del Parlamento europeo, l’italiano Antonio Tajani. Nel vertice europeo di fine giugno
si è deciso di rimpinguare le casse del Trust Fund UE-Africa con 500 milioni. Una cifra palesemente inferiore alle attese
del governo Conte.
La seconda richiesta dell’Italia: rivedere il regolamento di Dublino
Un’altra “battaglia” dell’Italia è quella per la riforma del Regolamento di Dublino, ovvero il sistema europeo che disciplina
l’assegnazione dei richiedenti asilo ai paesi membri della Ue. In base a questo sistema, il Paese competente a esaminare la
richiesta di asilo è quello “di prima accoglienza”, quindi il peso è soprattutto sulle spalle di Italia e Grecia (le ultime
rilevazioni, va detto, registrano un forte calo degli sbarchi nei porti italiani, lungo la rotta del Mediterraneo centrale).
La trattativa su Dublino è, allo stato attuale, in stallo. In occasione dell’ultimo vertice di Bruxelles l’Italia ha chiesto
che venga superato il criterio Paese di primo arrivo: chi sbarca in Italia, sbarca in Europa. Occorre scindere tra porto sicuro
di sbarco e Stato competente a esaminare richieste di asilo. L’obbligo di salvataggio non può diventare obbligo di processare
domande per conto di tutti. Nessuna risposta da parte dell’Europa. Ed è difficile che su questo punto il vertice di Salisburgo
porti novità di rilievo.
La terza richiesta: rivedere le regole dell’Operazione Sophia
EunavForMed Sophia è un’operazione militare sotto l’ombrello Ue avviata nel giugno 2015 e successivamente prorogata due volte.
Allo stato attuale, dovrebbe scadere il 31 dicembre, salvo ulteriori proroghe. Nell’ambito della missione, che ha come obiettivo
quello di colpire il traffico e la tratta di esseri umani nel Mediterraneo centromeridionale, vengono effettuati anche salvataggi
in mare. Interventi, questi ultimi, che stando al diritto internazionale del mare sono obbligatori per qualsiasi imbarcazione,
privata o militare che sia, che naviga in un’area in cui si è verificata una situazione di emergenza. Le navi con a bordo
le persone salvate raggiungono automaticamente i porti italiani: si applica infatti la procedura applicata nell’ambito dell’operazione
Triton dell’agenzia Frontex, in base alla quale lo sbarco deve essere in Italia. Il governo giallo vuole scongiurare nuovi
casi Diciotti e sottolinea la necessità di una gestione condivisa dei flussi migratori provenienti dalla rotta del Mediterraneo
centrale. Chiede di voltare pagina, e di tracciare una linea comune che porti a un’Unione Europea più equa e più solidale,
con un’assunzione di responsabilità maggiore da parte dei nostri partner europei. Come? Ad esempio rilanciando l’Operazione
Sophia sulla base di un nuovo meccanismo, che prevede la rotazione dei porti di sbarco. La ministra della Difesa Elisabetta
Trenta ha proposto l’istituzione di un’unità di coordinamento composta da un rappresentante di ogni paese Ue che partecipa
alla missione: questa unità dovrebbe assegnare di volta in volta il porto di sbarco.
La quarta richiesta: riformare l’agenzia Ue per il controllo delle frontiere
«Ci aspettiamo dall’Europa una polizia di frontiera esterna che presidi i confini esterni - ha spiegato a poche ore dall’apertura
del vertice di Salisburgo il responsabile del Viminale, Matteo Salvini -. Noto che altri non hanno la stessa sensibilità,
ma se l’Europa dimostrerà di essere ancora una volta inesistente ci muoveremo per conto nostro con accordi bilaterali, missioni
in Africa». A favore di questa posizione è il cancelliere austiaco Sebastian Kurz: il presidente di turno dell’Ue si è detto
a favore di un rafforzamento dell’agenzia Ue per il controllo delle frontiere. L’Austria punta a fermare l’immigrazione illegale
spostando la strategia dalla redistribuzione di queste persone tra i partner Ue, che non ha funzionato, alla protezione delle
frontiere esterne dell’Europa. Va in questa direzione il programma presentato nelle scorse settimane dal presidente della
Commissione europea Juncker, che prevede il rafforzamento dell’Agenzia tramite 10mila guardie di frontiera che saranno a disposizione
nel 2020. Strada in discesa, dunque? Non proprio: il piano di Bruxelles ha suscitato perplessità in vari Stati membri, a
cominciare da quello stesso blocco dei Paesi Visegrad (Polonia, Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca) che ha affossato,
almeno per ora, la riforma del regolamento di Dublino sul diritto di asilo europeo. Ciò che non piace a questi governi dell’Europa
dell’Est che hanno eletto il sovranismo a bussola del proprio agire politico è l’aumento dei poteri di un’istituzione europea,
a discapito delle prerogative nazionali in tema di sicurezza. Nel mirino delle critiche di questi paesi c’è sia il rafforzamento
del mandato dell’agenzia perché svolga compiti all’interno dei Paesi, sia il fatto di destinarle più finanziamenti. «Meglio
dare i fondi direttamente agli Stati», ha proposto la Repubblica Ceca. Di cosa fare su Frontex i leader europei parleranno
giovedì, ma allo stato attuale non sembra che ci siano i margini perché i 28 raggiungano un’intesa. Non dovrebbe esserci l’accordo
nemmeno su un’altra proposta sostenuta dall’Italia, quella che prevede la creazione di centri di sbarchi in cui identificare
e distribuire i migranti tra i paesi europei. Le piattaforme di sbarco, è la posizione di chi si oppone a questa soluzione,
siano fuori dal territorio dell’Unione. Anche in questo una parte di Europa fa muro.
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