Inge Schonthal è stata una presenza importante nel quadro dell’editoria italiana dagli anni Sessanta fino a tempi molto recenti, una presenza discreta, rispettosa degli equilibri interni all’azienda e nello stesso tempo garante di una tradizione, di una continuità che venne però messa in forse dall’intervento economico della società, nota per essere tra le prime in Europa nella produzione di legname, fino alla crisi di fine 1979, a sette anni dalla tragica morte del marito Giangiacomo. Furono quelli gli anni, tra il 1972 e il il 1980, in cui Inge fu più presente, senza bensì interferire nelle scelte di una redazione diretta da un personaggio d’eccezione come Giampiero Brega, e di cui mi onoro di aver fatto parte.
Senza interferire, ma sostenendo e spronando con una forte e intelligente capacità di intrattenere public relations con la
città e con il mondo, assai utili a dare o ridare credibilità culturale e politica a una casa editrice che Giangiacomo aveva
messo in piedi rivaleggiando con le grandi del suo tempo. In particolare, a sinistra, con la torinese di Giulio Einaudi, meno
libera della Feltrinelli nei confronti della sinistra ufficiale e cioè del Pci.
Seppe farlo con ironia e auto-ironia, con una simpatia del tutto priva di snobismo, anche se un po’ di snobismo avrebbe ben potuto permetterselo. Era infatti,
di suo, una fotografa di successo, ritrattista di grandi figure della società dello spettacolo e dell’attualità politica,
ovviamente dei grandi personaggi della Germania del dopoguerra e soprattutto dei suoi grandi scrittori (che spesso fece entrare
nel catalogo milanese) ma anche di Greta Garbo, di Fidel Castro, di Ernest Hemingway e di altre grandi figure di intellettuali
e politici di più parti del mondo, compresa la Russia.
Gli anni dopo la morte di Giangiacomo, mentre si occupava attivamente della crescita e formazione del figlio Carlo (il quale ha raccontato in un bel libro la figura del padre e quella della madre), furono forse i suoi anni più attivi . Si era data il compito di contribuire alla salvezza della casa editrice e seppe muoversi con molta decisione in anni che furono di piombo tanto in Italia che in Germania, tra controlli polizieschi e ricatti politici di vario ordine. Aveva idee sue e non le taceva, ma non capitò mai che le imponesse, rispettosa del lavoro della redazione, che accompagnava semmai con piccoli e divertenti ricevimenti o pranzi dove venivano serviti con molta semplicità cibi cucinati con i prodotti di una tenuta di proprietà di Giangiacomo, che ospitò anche riunioni di redazione che si trasformavano facilmente in feste.
Nelle riunioni di redazione compariva di rado, ma ascoltava e, se necessario, diceva la sua, suggerendo a volte accorte strategie editoriali. Quando la Feltrinelli ebbe un nuovo amministratore (venuto dai panettoni) credo per imposizione della società maggiore, della società-famiglia, accettò un ruolo più secondario, ma partecipando con entusiasmo alla nuova avventura delle librerie, affiancando in questo campo Romano Montrone senza mai imporre le sue scelte, così come aveva fatto con Brega nella produzione-invenzione di libri, finché anche quello non venne messo da parte da manager attenti più al denaro che alla cultura.
La casa editrice cambiò presto faccia, come la cambiarono le stesse librerie, crescendo e volendo contribuire a nuovi tempi non proprio entusiasmanti. Ma Inge riuscì, oltre gli anni, a restare la stessa, quella degli anni del boom e della lotta, una figura che viene facilmente da ricordare a fianco di quelle della Cederna, di Bocca, di un’altra Milano.
© Riproduzione riservata