Dopo un lunedì nero in Borsa, nel giorno in cui l’Fmi attesta quello che già molti operatori (e non) avevano intuito, ovvero che lo scenario «di politiche che potrebbero danneggiare la sostenibilità del debito» hanno accelerato le vendite Piazza Affari e messo benzina al motore dello spread, il vicepremier Matteo Salvini lo ripete, e lo ripete ancora, quasi allo sfinimento: lo spread? Non preoccupa, indietro non si torna. Al di là delle dichiarazioni pubbliche il pensiero, anche quello di Salvini, è già a fine mese, quando è atteso il pronunciamento delle agenzie di rating. Un pronunciamento che, in questo caso così particolare, ha molto del “verdetto”. Più che il braccio di ferro con Bruxelles, è quello l’appuntamento che fa paura.
Anche perché a pronunciarsi saranno, tra qualche giorno, le agenzie di rating che tengono ancora l’Italia due gradini sopra il livello “junk”, ovvero “spazzatura”. Moody’s (rating Baa2) deciderà entro il 31 ottobre; S&P (BBB) il 26. La seconda ha rinvisto di quasi due mesi il giudizio, proprio in attesa che il quadro delle misure previste in manovra si delineasse. E ora è abbastanza definito, anche se i Cinque Stelle hanno anticipato che la manovra potrebbe essere cambiata se lo spread superasse quota 400 - ora è ai massimi dal 2013 -, una sorta di “Linea Maginot”.
Non è escluso che, considerato il clima che si respira in questi giorni, entrambe le agenzie decidano di rivedere le loro valutazioni. L’altra grande agenzia, Fitch, ha tagliato il rating a BBB ad agosto ma alla luce di questi numeri potrebbe pronunciarsi di nuovo.
Per cui il quadro ha tante, troppe incognite. Lo spettro di una “Italexit”, il consistente ricorso al deficit, che consente al governo M5s-Lega di coprire il reddito di cittadinanza e il superamento della Fornero, i due cavalli di battaglia della campagna elettorale, non piace alle agenzie di rating. La mossa dell’esecutivo Conte, che ha corretto il tiro rispetto alle anticipazioni della Nota di aggiornamento del Def, prevedendo un deficit - Pil al 2,4% solo per il 2019 (non più triennale), è stato un segnale di apertura che Cinque Stelle e Lega hanno lanciato. Si tratta di capire ora se basterà o se la bocciatura scatterà comunque,
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