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Dossier | N. 16 articoliFesta del cinema di Roma 2018

Festa del cinema al via, Roma torna a sentirsi l’anti Mostra di Venezia

Sembra di essere tornati al 2006. A Palazzo Chigi siede Romano Prodi e al ministero dei Beni culturali Francesco Rutelli. Ex sindaco della capitale. È proprio il suo successore in Campidoglio, Walter Veltroni, a inventarsi - insieme al suo braccio destro Goffredo Bettini - una nuova manifestazione: la Festa del cinema di Roma. Che anche per ragioni di calendario (viene fissata a inizio ottobre) entra subito in concorrenza con la Mostra di Venezia che va in scena tra fine agosto e inizio settembre. E in Laguna non la prendono bene. Come confermano le polemiche sui giornali e in Tv. Meno sui social. Del resto Facebook esiste da appena due anni e Twitter è appena nato.

Parola di guerra dal Lido
Basta leggere le dichiarazioni dell’epoca del sindaco di Venezia, Massimo Cacciari: «Se lo Stato dà i soldi alla Capitale per la Festa del cinema, metto mano alla pistola». E anche l’allora direttore artistico del Festival veneziano, Marco Müller, non le manda a dire. Pur cercando di restare su un

piano più artistico. «Roma - sottolinea - è un festival di scarti e di film che né noi né Cannes avevamo voluto». Quel Müller che, ironia della sorte, nel 2012 viene chiamato a dirigere la manifestazione capitolina. La risposta che arriva dalla capitale è più felpata. Con un comunicato congiunto a firma Rutelli-Veltroni che annunciano, per l’anno successivo, di voler cambiare le date dell’appuntamento romano. Una decisione che fa arrabbiare Torino e il suo festival storicamente in programma a novembre. Ma questa è un’altra storia.

Polemiche a colpi di tweet (e non solo)
In questi 12 anni di scaramucce dialettiche tra le due manifestazioni - con annessi distinguo sull’etimologia di Festival e Festa - ce ne sono state parecchie.

Nei giorni scorsi ne abbiamo avuto un altro saggio. In un’intervista a Vanity Fair il direttore del Festival di Venezia, Alberto Barbera, definisce Roma «una bella festa per il pubblico, con una dimensione prevalentemente locale». Il suo omologo capitolino, Antonio Monda, non la prende bene. E nel presentare il programma della tredicesima edizione - che si svolgerà da domani al 28 ottobre all’Auditorium parco della musica (e dintorni) con 42 film, 6 eventi speciali, 14 incontri ravvicinati in programma - commenta: «La sua è stata una scivolata di cattivo gusto. Anche nei confronti della città di Roma. Probabilmente c'è un po' di confusione - aggiunge - quella di vedere in noi quello che vorrebbero noi fossimo e non quello che davvero siamo».

L’ultima parola spetterà alla qualità dei film
A scorrere il programma messo giù da Monda l’aspirazione a porsi come anti-Venezia affiora in più punti. A cominciare dalla scelta di non ospitare film prodotti da Netflix che ha trionfato in Laguna con Roma di Alfonso Cuarón. Una linea rafforzata dalla decisione di dedicare un “incontro ravvicinato” al delegato generale del Festival di Cannes, Thierry Frémaux, che sulla Croisette ha messo al

bando tutte le piattaforme web. Un altro indizio lo fornisce lo stesso Monda nel definire come nata «nel segno del femminile» la tredicesima edizione della kermesse capitolino. Rilanciata da carta e web, la sua affermazione deve aver fatto fischiare le orecchie a Barbera che era stato criticato per aver ospitato una sola regista donna (Jennifer Kent con The Nightingal) nel concorso della 75esima Mostra del cinema di Venezia. Emblematico il suo tweet di qualche giorno fa: «Stanco di leggere che a #Venezia75 c'era un solo film diretto da una regista. Erano 23, sparse nelle varie sezioni. A #romacinemafest ne ho contate12 (salvo errori e dimenticanze), più 12 in Alice nelle Città , ma intitolano “Roma esalta le donne”. Informarsi meglio no?». Polemiche da vigilia. Da domani - con Bad Times at the El Royale di Drew Goddard - la parola passerà ai film. E agli spettatori che, come è ormai tradizione, assegneranno l’unico riconoscimento previsto dalla Festa di Roma: il Premio del Pubblico Bnl. Altra differenza con il Lido che non rinuncia alla giuria e ai premi classici.

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