Decreto sicurezza, legittima difesa, condono edilizio a Ischia, affido condiviso e bigenitorialità perfetta: crescono le misure che creano più di un mal di pancia tra i parlamentari del Movimento Cinque Stelle. Senza contare gli eventuali interventi salva-banche, da sempre invisi. Ma sono ancora pochi gli eletti che manifestano apertamente la loro ostilità. Il compromesso, d’altronde, è diventato consuetudine: nella continua logica dello scambio che guida il governo gialloverde, nato sulla base di un contratto di governo da tradurre in norme, il M5S è spesso costretto a fare buon viso a cattivo gioco. Affidandosi al timoniere Luigi Di Maio, che raccoglie i malumori e distribuisce rassicurazioni.
Il decreto sicurezza fortemente voluto dal leader della Lega Matteo Salvini è l’esempio più lampante. Negli 81 emendamenti presentati in Senato dai Cinque Stelle (il voto in commissione comincia lunedì) c’è la fotografia del malessere. Che ha trovato il suo simbolo nel comandante Gregorio De Falco, deciso a non ritirare i suoi nonostante la moral suasion degli emissari di Di Maio. «Ho intenzione di seguire fino in fondo i suggerimenti che in tema di sicurezza ci arrivano dal presidente Mattarella», ha affermato ieri in un colloquio con il Corriere della Sera. Con parole forti: «Se questa storia dovesse assumere una certa piega, allora io prenderò le mie decisioni. Al di sotto di un certo livello, per etica, morale e senso dell’onore, io non scendo». Con lui le senatrici Paola Nugnes ed Elena Fattori, più volte critiche con la gestione dimaiana. «Più che un decreto sicurezza - ha sostenuto Nugnes, vicina a Roberto Fico e non nuova ad attacchi a Salvini, come sul caso della Nave Diciotti - è un decreto insicurezza». Nel Movimento sono convinti che alla fine si arriverà a un’intesa. Ma il ping pong tra i “ribelli”, il capo politico e l’alleato leghista è sfiancante.
Le modifiche chieste e ottenute dal M5S al condono previsto nel decreto fiscale sono costate un altro sofferto “sì” del Movimento, o almeno di una parte: quello al disegno di legge sulla legittima difesa, che adesso approda alla Camera dopo il via libera del Senato. Sempre De Falco e Nugnes avevano presentato emendamenti che puntavano a circoscrivere i casi di non punibilità. Ennesimo segnale di insofferenza per quelle che sono considerate eccessive concessioni alla Lega. Ma alla fine hanno ritirato le proposte di modifica, disertando però il voto in Aula.
La vicenda della sanatoria edilizia a Ischia, contenuta nel decreto Genova, è diversa. Lì la mano è pentastellata: l’isola è territorio caro a Di Maio, che ha promesso la ricostruzione delle case distrutte dal terremoto decidendo di accelerare
le pratiche inoltrate in base ai condoni del 1985, del 1994 e del 2003 e rimaste inevase, seppur con alcuni paletti introdotti
durante l’esame nelle commissioni Ambiente e Trasporti della Camera. Le opposizioni si sono scatenate, ricordando al vicepremier
quanto dichiarava in un comizio ad agosto 2017: «Cercate una mia proposta di legge di condono che riguarda Ischia o qualche
altra regione: se la trovate mi iscrivo al Pd». I tempi sono cambiati, il Movimento di governo necessita di massicce dosi
di pragmatismo.
Ma stavolta ad auspicare una modifica della norma severamente deplorata da Legambiente è addirittura il ministro dell’Ambiente,
il generale Sergio Costa, voluto proprio da Di Maio. Costa ha espresso il suo disagio in Consiglio dei ministri. «Le case abusive le ho sequestrate nella mia vita precedente
da generale della Forestale e dei Carabinieri», ha ricordato ieri a SkyTg24. «Non riesco a declinare il verbo condono. Mi
affido al Parlamento per una rivisitazione dell’articolo che sia conforme al senso di giustizia. Confido che il dibattito
lo arricchirà e lo renderà più accettabile». Ma in virtù dell’intesa tra M5S e Lega il testo è considerato chiuso.
All’orizzonte c’è un altro provvedimento che rischia di dividere i pentastellati: è il Ddl Pillon sulla riforma dell’affido condiviso, all’esame della commissione Giustizia del Senato (dove sono state avviate le oltre 100 audizioni in calendario), che pure conta tra i firmatari una piccola pattuglia di senatori M5S. A farsi portavoce dei tormenti interni sono stati il sottosegretario alle Pari opportunità Vincenzo Spadafora e la vicepresidente di Montecitorio, Maria Elena Spadoni. Entrambi hanno garantito di non poterlo accettare perché non tutela a sufficienza l’interesse dei minori, auspicando modifiche rilevanti. Sarà un nuovo terreno di confronto con la Lega, dall’esito ignoto. Dipende anch’esso dalla capacità di trattativa del Movimento e dagli altri interventi che saranno sul piatto al momento del voto.
Ad agitare le acque, infine, le eventuali misure di ricapitalizzazione precauzionale per le banche danneggiate dall’aumento dello spread. Sia il ministro Tria sia Salvini e il sottosegretario Giorgetti hanno evocato la necessità di intervenire prontamente in caso di difficoltà. Magari con un fondo pubblico per compensare gli istituti di credito dal pericolo che i 364 miliardi di titoli di Stato che hanno in pancia si trasformino in “spazzatura”. Di Maio, ieri, ha glissato: «Le ricapitalizzazioni possono avvenire in tanti modi, è tutto sotto controllo». D’altronde, il M5S ha fatto delle critiche feroci al sistema bancario e della difesa dei risparmiatori il suo cavallo di battaglia. Far digerire il boccone amaro di un piano simile a quello osteggiato in ogni modo ai tempi del governo Gentiloni si preannuncia un’impresa faticosa.
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