I candidati alla segreteria del Pd si scaldano a bordo campo, e soprattutto osservano le mosse degli avversari, in vista dell'assemblea nazionale che il 17 novembre avvierà formalmente la fase congressuale per eleggere il successore di Matteo Renzi. Ufficialmente in campo, per ora, il governatore del Lazio Nicola Zingaretti - appoggiato dalla sinistra del partito e da alcuni big della ex maggioranza renziana come Dario Franceschini, Luigi Zanda e, più tiepidamente e per così dire a distanza, Paolo Gentiloni -, il “diversamente renziano” Matteo Richetti, l’ex ministro del Lavoro di Prodi Cesare Damiano, Francesco Boccia per la corrente di Michele Emiliano e il giovane outsider Dario Corallo.
Fase di studio
Ma i veri competitor di Zingaretti devono ancora fare il passo ufficiale: il segretario uscente Maurizio Martina, appena tornato
da Londra dove ha avuto una serie di incontri con i dirigenti del Labour Party tra cui il leader Jeremy Corbyn, sta seriamente
valutando la sua candidatura; e a breve scioglierà la riserva l'ex ministro degli Interni Marco Minniti. Molto atteso l'evento
di stasera, la presentazione del suo libro “Libertà è sicurezza” con il fondatore del Pd, Walter Veltroni, e l'ex braccio
destro di Silvio Berlusconi, Gianni Letta. Ma l'annuncio ufficiale non ci sarà durante la presentazione del libro bensì la
prossima settimana, a ridosso dell'assemblea del Pd.
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La rete dei sindaci pro-Minniti
Minniti è appoggiato da Renzi, che tuttavia preferisce restare in disparte rispetto alla battaglia congressuale, e da tutta l'area renziana del partito
che questo fine settimana si riunirà a Salsomaggiore per il dare il via libera ufficiale alla sua candidatura. Ma l'ex responsabile
del Viminale conta anche su una fitta rete di sindaci e amministratori locali, soprattutto al Sud ma anche in Lombardia: è lui, secondo i primi sondaggi, il vero competitor di Zingaretti. Quanto a Martina, la sua candidatura si pone in una posizione
mediana e tende a togliere acqua a entrambi. Il segretario uscente potrebbe avere infine anche l'appoggio del capogruppo alla
Camera, Graziano Delrio, che con Minniti ebbe più di una divergenza di vedute sulla gestione dell'emergenza immigrazione durante
il governo Gentiloni.
Ritorno alla vocazione maggioritaria
Al momento non si intravedono grandi differenze programmatiche sui temi economici, fatta salva una maggiore attenzione al
disagio sociale da parte di Zingaretti. Il confronto sembra partire più sul tema delle possibili alleanze: non a caso Minniti
nei giorni scorsi, replicando indirettamente a Zingaretti che aveva descritto i pentastellati come «vittime» della Lega di
Matteo Salvini, ha voluto ribadire l'alterità del Pd a entrambi i partiti uniti ora al governo. È pericoloso e autolesionistico
per il Pd - è il ragionamento di Minniti, che riprende in questo le argomentazioni di Renzi - immaginare un bipolarismo tra
i due diversi populismi, la Lega supportata da una Forza Italia rimpicciolita e il M5S alleato con un Pd altrettanto rimpicciolito.
In una sorta di novella vocazione maggioritaria il Pd, nella visione minnitiana, deve aspirare a rappresentare la sinistra
e i moderati che si riconoscono all'opposizione del governo giallo-verde lavorando fin da ora ad una alternativa credibile.
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