Non è bastata una battaglia infinita a suon di ricorsi in Corte dei conti. E non sembra bastare nemmeno il tentativo di salvataggio infilato in extremis nell'ultimo Milleproroghe estivo. Per Catania, la decima città italiana per popolazione, il dissesto ha smesso ieri di essere un'incognita. Le sezioni riunite della Corte dei conti l'hanno trasformato in certezza. Intanto i 2.800 dipendenti del Comune aspettano ancora gli stipendi di ottobre, mentre in molte delle partecipate i pagamenti si sono fermati ad agosto.
Debiti «in crescita esponenziale»
A portare la città al default obbligato sono i numeri del rendiconto 2016. Due, in particolare: un debito da 1,58 miliardi,
e un disavanzo che secondo gli stessi conti del Comune supera di slancio il mezzo miliardo. Più del doppio dei 213 milioni
che ogni anno la rete bucata della riscossione riesce a raccogliere dalle tasse locali. Sono cifre utili a mostrare l'ordine
di grandezza dei problemi catanesi. Ma non a misurarli al millimetro. I debiti reali del Comune, scrive il Procuratore generale
delle sezioni riunite che ha chiesto con successo di respingere il ricorso catanese contro il dissesto, sono circondati «dall'incertezza
nella rappresentazione effettiva». Un solo dato è certo intorno a questi debiti: la loro «continua evoluzione esponenziale»,
perché ogni volta che si aprono i faldoni dall'analisi delle carte esce nuovo passivo. In queste condizioni, condite dalla
«grave violazione di norme e principi contabili» di cui dovrà interessarsi la Procura, il dissesto non si può evitare.
La storia infinita del buco
Ma chi ha aperto le voragini che fanno saltare i bilanci catanesi? A Palazzo degli Elefanti c'è una giunta di centro-destra.
Ma Salvo Pogliese, il sindaco che la guida, si è insediato a giugno. E la lettura delle bordate arrivate dalla Corte dei conti
siciliana ha rappresentato nei fatti il suo debutto sul campo accidentato del Comune. Prima di lui, dal 2013, l'ufficio del
sindaco era abitato da Enzo Bianco, uomo forte del Pd, ministro dell'Interno del governo D'Alema, parlamentare per quattro
legislature e sindaco della “primavera catanese” dal 1993 al 2000. Ma come capita sempre nelle città in crisi la storia dei
problemi dei conti è lunga. E quella del piano di riequilibrio catanese fallito definitivamente ieri nasce con Raffaele Stancanelli,
sindaco di centrodestra dal 2008 al 2013.
Richieste impossibili
Una storia come questa è perfetta per alimentare la guerra delle accuse incrociate nella politica. Proprio Stancanelli ha
sostenuto il correttivo al Milleproroghe che in teoria permetterebbe a Catania di sospendere la decisione della Corte dei
conti presentando entro il 30 novembre un nuovo piano di riequilibrio. Per scriverne uno in grado di stare in piedi servirebbe
un miracolo, ed è quello che ora chiede il centro-sinistra catanese vicino a Enzo Bianco. Ma questa matassa non aiuta a trovare
una soluzione che secondo le richieste portate a Roma da Pogliese nei giorni scorsi avrebbe bisogno di un aiuto da 400 milioni
in tre anni. Cifre impossibili per una manovra già nella bufera prima ancora di iniziare la sua navigazione parlamentare.
E per un Paese che da Napoli a Messina è pieno di città da salvare con una riapertura degli assegni statali.
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