Manca poco al pareggio con i numeri della pay tv tradizionale. Qui gli abbonamenti in Italia si sono storicamente attestati attorno ai 6,5 milioni fra Sky e Mediaset Premium. Oggi le piattaforme di videostreaming arrivano a superare i 5 milioni. E il trend fa pensare al livello della pay come a un muro che sta per crollare. Del resto, l’impennata del video on demand è fuori discussione, anche in un Paese come l’Italia in cui ci si dibatte nelle sabbie mobili di una digitalizzazione che se da una parte mostra segnali di miglioramento come indicato dall’aumento dell’ultrabroadband, dall’altra ha evidentemente enormi margini di crescita.
A mettere in fila i numeri dell’avanzata anche in Italia di Netflix, Amazon Prime Video e delle altre piattaforme di videostreaming è EY con uno studio che tra gli sponsor ha Sky, Mediaset, Discovery, Vodafone. E i risultati lasciano poco spazio a dubbi: gli abbonamenti in Italia alle piattaforme di videostreaming a pagamento – EY cita Netflix, Amazon Prime Video, Timvision, Now Tv (Sky), Infinity (Mediaset), Eurosport Player – sono passati da 2,3 a 5,2 milioni. E tutto in un anno, fra giugno 2017 e giugno 2018.
Numeri sui singoli operatori non ne sono forniti, ma a giudicare dalle indiscrezioni di mercato a farla da padrona è Netflix, in Italia da 3 anni. «Questi dati – spiega Fabrizio Pascale, Telco, Media & Technology Med Leader di EY – delineano un mercato dei servizi videostreaming in espansione, sia sul fronte dei servizi free offerti dai broadcaster televisivi sia a pagamento. Le crescite più importanti arrivano, però, dalle piattaforme pay che, a metà 2018, contavano oltre i 5 milioni di abbonati, più che raddoppiati nell’ultimo anno».
Oltre al numero degli abbonamenti c’è anche da guardare al computo totale degli utenti (in famiglia a usufruire delle piattaforme può essere più di uno). In questo caso si passa da 4,3 a 8,3 milioni di utenti con un numero di sottoscrittori unici (che possono avere anche più di un abbonamento) pari a 4 milioni. EY nella sua indagine va poi anche oltre il video on demand “a pagamento” unendo i dati della parte free comprensiva di player come Youtube, Raiplay, Mediaset Play. E così, considerando chi «nell’ultima settimana ha guardato contenuti video attraverso Internet della durata di almeno 10 minuti», gli utenti free sono saliti in un anno da 17,6 a 20,9 milioni. Il che, considerando che utenti free e pay possono in parte coincidere, segnala 23,8 milioni di italiani che guardano video on demand: il 68% degli utenti internet totali.
Tutte cifre, insomma, che fotografano anche per l’Italia quella che è una tendenza mondiale messa nero su bianco da diversi studi e istituti di ricerca. IT Media Consulting, ad esempio, prevede che i ricavi totali del settore Vod (video on demand) nell’Europa occidentale aumenteranno rispetto ai 6,26 miliardi di euro del 2018, superando gli 8,8 miliardi nel 2021, con una crescita media annua, pur in un mercato prossimo alla maturità, ancora a doppia cifra: del 12 per cento. Dal Vod arriverà così un quarto dei ricavi del mercato pay Tv. L’Italia ha numeri ben più bassi rispetto ad altri Paesi d’Europa. Ma il trend è impetuoso. E così, stando sempre al rapporto “Video on Demand in Europe: 2018-2021”, guardando al totale del video on demand – e dunque non solo Svod (servizi con abbonamento), ma anche Tvod (quello in cui si pagano le singole transazioni, erede dell’ormai scomparso home video) che non è stato considerato da EY – la penetrazione sul totale dell’Europa Occidentale è del 26,6% in Uk, del 19,4% in Germania e del 4,6% in Italia che salirà all’8,3% nel 2021.
Chiaro che con questi numeri il campanello d’allarme sia risuonato forte fra i player “tradizionali”. La pay tv ad esempio, che ha prezzi per gli utenti più alti rispetto al Vod, sta cercando di trovare le migliori contromisure. In Italia anche il mondo del cinema ha alzato i toni e un decreto nei giorni scorsi ha stabilito che forme di incentivazione per le opere cinematografiche potranno esserci solo per quelle pellicole che non sceglieranno di approdare su piattaforme di videostreaming contemporaneamente alle sale. A livello mondiale Disney ha deciso di sottrarre a Netflix i propri film e le serie tv nel 2019, puntando su un proprio servizio che si chiamerà Disney+. E ancora: nel 2012 Ted Sarandos, chief content officer di Netflix, dichiarò che «l’obiettivo è diventare Hbo più velocemente di quanto Hbo possa diventare Netflix». Frase che poteva apparire sibillina allora, ma non certo oggi visto che la AT&T che ha acquisito la Time Warner punta, sempre per il 2019, a un servizio di streaming con i contenuti della “madre” di Game of Thrones. C’è poi il capitolo della lotta fra le stesse piattaforme: Amazon Prime Video sta crescendo e Walmart è pronta a entrare sul mercato. Intanto Netflix cresce e investe miliardi in contenuti lasciando però negli investitori il dubbio sulla sostenibilità del business a fronte di un indebitamento crescente. Che vincano o meno le Cassandre, è comunque certo che indietro non si torna.
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