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Istat: Pil negativo dopo 4 anni, allarme rosso dagli investimenti

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NEL terzo trimestre

Istat: Pil negativo dopo 4 anni, allarme rosso dagli investimenti

La revisione al ribasso della crescita nel terzo trimestre dell'anno è un segnale preoccupante, da non sottovalutare. Dallo zero si è passati al -0,1%, uno scostamento minimo ma simbolico perché fotografa una situazione di stagnazione, che si spera non si replichi anche nell'ultimo trimestre dell'anno e nel 2019.

Il segno meno interrompe una serie di 14 trimestri consecutivi in cui la crescita è risultata sempre positiva, se pur non ai ritmi sperati. Preoccupante è la contrazione della domanda interna, sia sul versante dei consumi che su quello degli investimenti, segno evidente che il motore dell'economia sta pericolosamente rallentando.

Certo pesano le incognite dello scenario internazionale, a partire dagli effetti della guerra commerciale messa in atto da Donald Trump, e tuttavia il dato Istat pone nettamente in luce che la stasi dell'attività produttiva è altresì legata all'incertezza sulle prospettive di medio termine della nostra economia. Come spesso accade in periodi come questo, chi ha in programma un investimento preferisce attendere al pari del consumatore che decide di rinviare un acquisto.

PRIMO STOP DAL 2014
Variazione percentuale del Pil sul trimestre precedente.

Le incognite legate alla manovra e all'esito finale del braccio di ferro con Bruxelles non aiutano a rasserenare il clima. E poi permane ancora un'alea di incertezza sulle misure portanti (reddito di cittadinanza e quota 100 per le pensioni) che negli intendimenti del governo dovrebbero spingere la crescita all'1,5% nel 2019. Ci sono gli stanziamenti in bilancio (ricavati aumentando il deficit), non ci sono ancora le norme che dovranno fissare i criteri e le platee dei beneficiari. Per l'Istat la variazione acquisita finora, e dunque ipotizzando che l'ultimo trimestre si chiuda in linea con il precedente, è dello 0,9%, tre decimali in meno dell'ultima stima contenuta nella Nota di aggiornamento al Def. Ed è lo stesso valore che troviamo nel “tendenziale” del 2019.

L'incremento all'1,5% dovrebbe essere dunque garantito dalle misure contenute nella manovra. Lo 0,6% in più di maggiore crescita non è poca cosa, se si considera che il rallentamento del ciclo economico internazionale è in atto, e che non a caso gran parte degli organismi interni e internazionali non si spingono oltre una forchetta che va dallo 0,7 all'1%.

Vi è da augurarsi che il governo abbia fatto bene i conti, perché con una crescita che nel 2019 dovesse attestarsi per lo 0,5-0,6% in meno rispetto all'attuale stima salterebbe l'intero quadro di finanza pubblica. In sostanza andrebbero rifatti i conti, già probabilmente con il Def di metà aprile, e si ridurrebbero gli spazi a disposizione per le misure in cantiere. La migliore garanzia di sostenibilità per la finanza pubblica è la crescita. Per questo i timori sono ampiamente giustificati.

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