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Ocse: no agli assegni di reversibilità prima della pensione

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Ocse: no agli assegni di reversibilità prima della pensione

Le pensioni di reversibilità sono necessarie, ma devono essere “modernizzate” alla luce dei cambiamenti sociali e demografici e per evitare che siano un disincentivo al lavoro. In un'epoca in cui è sempre meno comune il matrimonio a vita, con il marito al lavoro e la donna a casa a badare ai figli, mentre cresce l'occupazione femminile ed aumenta la longevità, l'Ocse nel «Pensions Outlook» raccomanda alcuni paletti per le prestazioni al coniuge superstite (quasi sempre una donna) e sul loro finanziamento, ma consiglia anche di allargare la platea dei possibili beneficiari alle unioni civili.

Il suggerimento principale è di non erogare la pensione di reversibilità finché il beneficiario non abbia raggiunto l'età di pensionamento, fornendo a chi è in età più giovane un aiuto temporaneo di adattamento, che tenga conto di fattori quali la presenza di figli. «Le politiche previdenziali, viste le prospettive di invecchiamento della popolazione, devono promuovere la partecipazione al lavoro di tutti» e «fornire una pensione permanente prima dell'età pensionabile è incoerente con questo principio», sottolinea l'Ocse, ricordando che i Paesi industrializzati hanno altre misure per contrastare la povertà. In questo contesto l'Italia spicca sia per l'entità della spesa delle pensioni di reversibilità in relazione al Pil, sia - a monte - per un'occupazione femminile tra le più basse, con inevitabili ricadute previdenziali. Venendo ai numeri: nell'area Ocse in base ai dati più recenti c'è una pensione di reversibilità ogni cinque di vecchiaia, nell'85% dei casi a riceverla sono donne vedove e in media la spesa è all'1% del Pil. In Italia le percentuali sono più elevate: c'è un trattamento di reversibilità ogni tre di vecchiaia (cioè il 35%), settima percentuale più alta dell'Ocse, per il 92% le beneficiarie sono donne e la spesa è pari al 2,6% del Pil, il livello più elevato assieme alla Grecia. Negli anni, comunque, i costi per le prestazioni per i coniugi superstiti rispetto alle pensioni di vecchiaia sono diminuiti sia nella media Ocse (al 13% dal 20% del 1990), sia in Italia (18% dal 22%). Ad incidere sono stati i vincoli di reddito e le restrizioni via via introdotte, ma anche il calo della platea dei beneficiari.

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A parte l'aumento delle donne che lavorano e hanno quindi una storia previdenziale propria, meno matrimoni e più divorzi, unioni in generale meno stabili e una maggiore longevità degli uomini hanno contribuito nell'Ocse a dimezzare la quota delle vedove (dal 38% negli anni '60 nella fascia d'età 65-69 al 18% nel 2010-16). La pensione media di reversibilità è attualmente pari nell'Ocse al 56% della pensione media di vecchiaia e va da un minimo dell'8% in Lituania al 105% in Israele. L'Italia in questo caso è sotto la media con il 54%. Sulla base dell'attuale legislazione, inoltre, in media nell'Ocse la pensione di reversibilità è pari al 50% della pensione di vecchiaia del coniuge deceduto. In Italia la percentuale è al 60%. Germania e Francia sono al 55-56%. Una donna che non abbia mai lavorato, sposata con un uomo che abbia avuto un carriera lavorativa completa riceve in media nell'Ocse, al decesso del coniuge una prestazione lorda di reversibilità pari al 31% del salario medio lordo, percentuale che in Italia sale al 50%. Se invece il coniuge superstite ha avuto una sua storia previdenziale e quindi aggiunge alla sua pensione quella di reversibilità, l'Italia risulta il Paese più generoso con un trattamento pensionistico complessivo pari al 133% del salario medio, più del doppio rispetto alla media Ocse (64%). Ma l'Italia è in grande ritardo per l'occupazione femminile. Dietro a Turchia e Messico, la Penisola ha il terzo tasso più basso di partecipazione al lavoro delle donne nell'Ocse (56% nel 2017, sia pure in progresso dal 46% del 2000 e dal 39% del 1983, a fronte del 75% degli uomini) contro una media Ocse del 69% (80% in Svezia e 86% in Islanda).

“L’Ocse consiglia di introdurre l'asticella dell'età pensionabile anche del beneficiario per la percezione dell'assegno e consiglia l'allargamento delle prestazioni alle unioni civili e alle convivenze formali”

 

Una minore partecipazione al lavoro anche per un maggiore ricorso al part-time, uscite anticipate e periodi di ritiro dal mercato, con salari mediamente inferiori si riflette giocoforza in pensioni più basse. In base ai calcoli dell'Ocse, il divario di genere medio nel 2014 era del 24% e l'Italia ha uno dei ‘gap' più ampi (il settimo) con il 32%. In questo caso un'eventuale pensione di reversibilità aiuta a ridurre questo divario. Anche per effetto della maggiore longevità, le donne anziane hanno in media un tasso di povertà più alto degli uomini (17% oltre i 75 anni nell'Ocse contro il 10%). Un fronte essenziale è comunque quello dei criteri di ammissibilità alla pensione di reversibilità e l'Italia è uno degli 11 Paesi che non pongono limiti di età al coniuge superstite. In Germania l'età minima per avere diritto a un trattamento di reversibilità è di 45,5 anni, il Portogallo scende a 35 anni, mentre gli Usa salgono a 60 e la Francia fissa l'asticella a 55-60 anni. Ungheria, Lituania e Repubblica Slovacca sono a 62-63 anni. Alla morte del coniuge, comunque, il superstite deve fare i conti con una riduzione del reddito disponibile del 24% in media, ma se non ci fosse la pensione di reversibilità la perdita salirebbe al 61%, controbilanciando quindi tre quinti della perdita di reddito, che in Italia è peraltro del 15%.

Insomma, la pensione di reversibilità resta necessaria, ma deve evolvere al passo con i tempi. Per questo l'Ocse consiglia di introdurre l'asticella dell'età pensionabile anche del beneficiario per la percezione dell'assegno e consiglia l'allargamento delle prestazioni alle unioni civili e alle convivenze formali, escludendone però i partner da precedenti unioni. Ma l'Ocse suggerisce anche di “internalizzare” il costo delle pensioni di reversibilità all'interno della coppia. A fronte degli stessi diritti previdenziali accumulati, la pensione di vecchiaia di una persona che vive in coppia dovrebbe cioè essere inferiore a quella di un ‘single' per finanziare la pensione di reversibilità (che altrimenti sarebbe implicitamente finanziata anche dal ‘single', che però non si potrebbe avvalere di un analogo beneficio). In base ai tassi di mortalità la pensione iniziale, quando entrambi i coniugi sono vivi, sarebbe del 9% più bassa rispetto a quella di un single con la stessa storia contributiva.

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