Nel ping pong fra Italia e Ue sulla manovra la pallina è di nuovo a Roma. Per il passaggio decisivo che dovrà arrivare stasera dal vertice fra Conte, il ministro dell’Economia Tria, i due vicepremier Di Maio e Salvini, i sottosegretari al Mef Garavaglia e Castelli e il ministro dei Rapporti con il Parlamento Fraccaro chiamato a governare il passaggio al Senato del maxiemendamento governativo. Lì si dovrà prendere la decisione all’interno del ventaglio ampio preparato dai tecnici per far quadrare i conti del deficit strutturale. Perché di passi in avanti ne sono stati fatti. Ma non abbastanza.
L’intesa sul deficit nominale al 2,04% (2% di fatto con gli arrotondamenti che si usano sempre nei bilanci nazionali) c’è; il dossier sulle spese straordinarie per dissesto idrogeologico e manutenzione delle strade può escludere dall’indebitamento strutturale una cifra intorno ai tre miliardi (tra 0,15% e 0,2%del Pil); in gioco è entrato anche il piano straordinario di dismissioni, accompagnato dalle regole per facilitare la valorizzazione del mattone pubblico, che aiuta anche sul 2020 e 2021. Ma per garantire la mini-riduzione del disavanzo che si calcola a Bruxelles, quello al netto di una tantum, effetti del ciclo economico e spese eccezionali, bisogna fare ancora un tratto di strada, che secondo i calcoli della commissione vale ancora due decimali di Pil, cioè intorno ai 3,6 miliardi. Da trovare senza ulteriori interventi a reddito di cittadinanza e pensioni, su cui gli spazi politici sono esauriti all’interno di un’alleanza fra Lega e M5S in cui la tensione è ai massimi e il dialogo ai minimi termini.
Per questa ragione la strada verso l’intesa passa prima di tutto dalla riconfigurazione di voci di spesa, per trasformarle da strutturali a temporanee almeno sul piano tecnico. Il tentativo sulle pensioni si è scontrato con il «no» dei tecnici della Ue, anche perché è proprio la spesa previdenziale a far suonare gli allarmi più forti per le sue ricadute sul debito; le ipotesi sul reddito sono invece incappate finora nell’indisponibilità M5S a “rinunce” ulteriori. Ma il lavoro tecnico offre una gamma ampia di opzioni, che si incrociano anche con gli effetti di un quadro di crescita molto più modesta rispetto ai programmi italiani di ottobre.
A Bruxelles si aspetta la risposta politica italiana alla luce della trattativa tecnica portata avanti negli ultimi giorni. «Il nostro obiettivo rimane una riduzione del deficit strutturale, ossia al netto del ciclo economico, perché il paese sia rispettoso del Patto di Stabilità», spiegava ieri un esponente comunitario. Il divario sarebbe ancora vicino allo 0,2% del Pil. Le parti avrebbero messo a punto una serie di opzioni, da affidare alla scelta politica a Roma, per ridurre lo scarto e ottenere la riduzione del disavanzo strutturale. «Da un punto di vista tecnico la scelta non è difficile. Lo è in compenso da un punto di vista politico».
In cuor suo, la Commissione europea vorrebbe evitare l’apertura di una procedura per debito eccessivo perché getterebbe un’ombra sulla zona euro, proprio mentre aumentano i paesi che registrano un bilancio in attivo. Ciò detto, più volte l’esecutivo comunitario ha ricordato in questi giorni che, comunque sia, è al lavoro su una raccomandazione in questo senso, nel caso non si riuscisse a trovare una intesa tra Roma e Bruxelles per riportare in linea la legge di bilancio del 2019. Molti osservatori concordano per dire che un passo di questo tipo a breve appare difficile, alla luce degli stretti contatti di questi giorni.
Il vertice europeo di questa settimana ha mostrato che i partner europei preferiscono in questa fase affidarsi alla Commissione europea (si veda Il Sole-24 Ore di ieri). Non hanno interesse né ad appoggiare l’Italia, per paura di innervosire gli investitori che hanno acquistato il loro debito pubblico; né ad attaccarla di petto, col rischio di aizzare gli animi a Roma. Ciò detto, più in generale, notava sempre ieri un altro esponente comunitario: «In Commissione si è consapevoli del fatto che un accordo sulla Finanziaria per il 2019 rischia comunque di tradursi in un rinvio dei nodi al 2020».
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