Non è un caso che nel giorno in cui si avvia formalmente la corsa a tre per le primarie del Pd del 3 marzo prossimo - con il favorito Nicola Zingaretti che dal palco dell’Ergife di Roma che ha conclamato la sua vittoria tra gli iscritti davanti a Maurizio Martina e Roberto Giachetti parla già da segretario - a diventare un caso sia la proposta di una lista europea lanciata da Carlo Calenda. Perché, pur nella sua (per ora) indeterminatezza, il progetto di “Siamo europei” è l’unico progetto messo in campo negli ultimi mesi per reagire alla sconfitta del 4 marzo 2018 e immaginare un’alternativa al governo “populista” dei giallo-verdi: una lista unitaria, antisovranista e pro Europa, che veda il Pd “fondersi” con esperienze che vengono da mondi e culture diverse con l’unica discriminante che non si cerchino alleanze nazionali con Lega e M5s.
E non è un caso che nel Pd la proposta di Calenda sia accolta con mille retropensieri e paletti: se in campo zingarettiano spunta il manifesto europeo degli eurodeputati dem (Patrizia Toia, Goffredo Bettini e David Sassoli in primis) che subito Calenda interpreta come iniziativa per boicottare il suo progetto, dall’altra parte della barricata ci sono le perplessità del candidato più renziano, Roberto Giachetti, che vede il pericolo di mescolare in un calderone indistinto anche i fuoriusciti bersaniani di Mdp «che hanno distrutto il Pd». Precisazioni e distinguo di un gruppo dirigente che da ormai un anno sembra più rivolto al propri0 ombelico e a occupare pezzi di potere nella “ditta” che a costruire una realistica alternativa di governo, certo. Ma dietro queste precisazioni e questi distinguo ci sono anche differenti visioni politiche, e il rapporto presente ma soprattutto futuro con il M5s resta la discriminante principale.
Zingaretti ha buon gioco a rimarcare che il suo Pd non farà accordi con il M5s di Di Maio, togliendo in questo modo acqua alla polemica renziana: «Sono stanco di ripeterlo: non intendo favorire alleanze con il M5s, li ho battuti due volte alle regionali. Li sconfiggesse chi mi accusa di questo». Tuttavia la sua precisazione successiva spalanca un mondo: «Se la Lega è un monolite di odio, c’è un elettorato del M5s che è un coacervo di tutto e il contrario di tutti. Molti erano nostri elettori, non possiamo ignorarli». Ecco: Zingaretti, e con lui i big che lo sostengono a cominciare da Paolo Gentiloni e Dario Franceschini, pensano che è inutile guardare all’elettorato leghista per recuperare consenso mentre occorre capire le ragioni che sono dietro alla scelta di un parte dell’elettorale del M5s che prima votava per il Pd e per il centrosinistra e proporre soluzioni. A cominciare dal reddito di cittadinanza a breve in Aula in Senato e che secondo molti dem che appoggiano Zingaretti, e tra questi c’è una personalità come l’ex premier Enrico Letta, il Pd non può respingere.
Lista europea di Calenda e dialogo con il M5s: queste le variabili su cui il Pd si dividerà nelle prossime settimane e che potrebbero portarlo all’implosione. Perché se la lista europea non dovesse andare avanti l’ex ministro dello Sviluppo sembra pronto a proseguire per la sua strada, con la presentazione di una lista distinta da quella del Pd. Ed è questa la ragione principale per la quale tutti i candidati alle primarie hanno per ora formalmente aderito alla sua iniziativa pur con mille retropensieri: primum evitare scissioni.
C’è poi lo sguardo attento del convitato di pietra di questo congresso, ossia l’ex leader e premier Matteo Renzi. L’opzione di un partito che nasca dai comitati civici lanciati all’ultima Leopolda resta in campo, anche se congelata. «Vediamo che cosa farà Zingaretti, per ora sembra venuto sulle nostre posizioni», è il ragionamento di Renzi con i suoi. Perché c’è solo un terreno sul quale Renzi potrebbe fare una scissione portando con sé una parte dell’elettorato dem, ed è proprio il rapporto con il M5s. Qualsiasi cedimento, partendo dal prossimo voto sul reddito di cittadinanza, potrebbe dare la stura a un’iniziativa politica all’insegna dell’alterità sia rispetto alla Lega sia rispetto ai pentastellati.
Il segretario in pectore Zingaretti ha dunque un compito gravoso nelle prossime settimane: preservare l’unità del Pd, precondizione per allargare il campo. E dunque da una parte non far morire in un mare di recriminazioni reciproche il progetto calendiano di una lista unica pro Europa alle elezioni di maggio, dall’altra non accelerare su aperture al M5s. Inutili in questa fase politica e possibili tentazioni per la scissione renziana.
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