In questi giorni, a causa delle polemiche sulla Tav, l'analisi costi benefici, tecnica di valutazione finora conosciuta solo da pochi addetti ai lavori, è diventata oggetto di pubblico dibattito: il
risultato è, però, pericoloso, perché la confusione può finire per screditare questo strumento e, addirittura, insinuare il
dubbio che non ci siano criteri razionali sui quali fondare le scelte.
Partiamo da due osservazioni semplici: se stiamo male, il medico ci chiede di fare una serie di analisi. Di fronte a una diagnosi complessa, nessun medico serio si affiderebbe solo alle analisi del sangue o alla TAC. La stessa cosa vale nel caso delle infrastrutture: molti sono gli aspetti da tenere in considerazione e molteplici sono gli strumenti analitici da utilizzare. Il primo, grave, errore compiuto è stato quello di accreditare l'idea che un solo strumento, la “mitica analisi costi benefici”, sia in grado di dire l'unica e definitiva parola sul tema.
Nessun riferimento all’impatto sul commercio Italia-Francia
Solo per fare un esempio: la Francia è il nostro secondo partner commerciale dopo la Germania: ci compera 52 miliardi di dollari
l'anno solo di prodotti. È possibile che da nessuna parte dell'analisi si tengano in considerazione le ripercussioni che sarebbero
provocate, sulla nostra economia così dipendente dalle esportazioni, da un contenzioso miliardario con la Francia?
Linee guida europee non rispettate
Seconda osservazione: con ingredienti e ricette diverse escono torte diverse. Anche le analisi costi benefici, se fatte con
metodi e parametri diversi danno risultati diversi. Il problema è noto e per questo, fin dal 2008, la Comunità Europea ha
elaborato linee guida, divenute più articolate e obbligatorie nel 2014; anche il ministero delle Infrastrutture, per gli stessi
motivi, ha emesso le proprie linee guida, coerenti con quelle europee. Le “Linee Guida” europee e italiane non si collocano
allo stesso livello di qualsiasi altra metodologia di natura accademica o professionale: fanno parte per legge, europea e
italiana, del percorso previsto dalla norma per giungere alla decisione di finanziare un'opera con fondi pubblici. Il secondo,
grave, errore del Ministero è stato quello di non vincolare i tecnici all'utilizzo delle Linee Guida emanate dal Ministero
stesso: se esse non fossero ritenute adeguate, il governo del cambiamento avrebbe dovuto, appunto, prima cambiarle.
La tesi: trasferire merci dalla strada alla ferrrovia è dannoso
L'analisi fatta dal Gruppo di Lavoro usa uno strano mix di metodologie, che sembra fatto apposta per produrre il risultato voluto: mostrare che il trasferimento
modale dalla strada alla ferrovia è dannoso per la collettività. Si può verificare questa affermazione leggendo i grafici
finali della valutazione. Come sempre in questi casi ci sono due scenari: uno ottimista, dove l'opera consente di trasferire
più traffico dalla strada alla ferrovia, e uno meno. Bene: il bilancio finale, sempre negativo, è che più l'opera funziona,
più sarebbe grave il danno per la comunità. Questa analisi, quindi, non valuta se la Torino Lione riesce a raggiungere bene
lo scopo per cui è stata decisa, trasferire parte del traffico alla ferrovia, ma vuole dimostrare che l'obiettivo stesso del
trasferimento modale è un errore.
Analisi dei costi europea, non italiana: perché?
Un aspetto che sembra trascurato è che l'analisi non è stata fatta dal punto di vista italiano, ma europeo: con questo documento,
quindi, stiamo dicendo alla Commissione Europea, al governo francese e ai loro tecnici che hanno clamorosamente sbagliato
a fare i loro conti e che quindi sono incompetenti se non peggio, asserviti alle lobby ferroviarie (ma non, almeno visti i
numeri, a quelle autostradali). Anche questa scelta non aiuterà il nostro Paese sui tavoli internazionali, dove per difendere
i propri interessi servono buone ragioni ma anche alleati (Olimpiadi a rischio?). Il perché di questa scelta non è chiaro,
tanto che la Commissione Europea si è affrettata a chiarire che l'analisi non è stata da loro richiesta: forse in questo modo
i numeri vengono più alti e si possono avvicinare (ma senza raggiungerli) a quelli sparati dalla propaganda No TAV (dove si
leggono i 20 miliardi di costo?).
Vogliamo o no connetterci all’Europa?
Paradossalmente, quello che manca in tutta l'analisi e nelle posizioni di chi contrasta l'opera è proprio la dimensione europea:
quanto ci interessa far parte attiva, essere integrati e connessi con le altre nazioni di questo continente? Dalla risposta
a questa domanda escono indicazioni pratiche per prendere una decisione sulla Torino Lione: per questo la scelta è politica,
nel senso alto e nobile del termine.
* Academic Fellow, Università Bocconi, Dipartimento di Scienze sociali e politiche
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