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Autonomie, le prossime tappe dopo il Cdm: scontro sul ruolo delle Camere

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la trattativa nel governo

Autonomie, le prossime tappe dopo il Cdm: scontro sul ruolo delle Camere

Il Consiglio dei ministri ha avviato il percorso delle intese con Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna che dovrebbe portare ad attribuire a queste regioni una serie di competenze («autonomia differenziata») che incidono sulla vita dei cittadini: dalla scuola, alla sanità, alle casse di risparmio. La trattativa tra lo Stato e le tre Regioni è stata avviata dal Governo Gentiloni il 28 febbraio 2018, ed è stata condotta in questi mesi dal ministro per gli Affari Regionali, Erika Stefani che, ha portato il 14 febbraio in Consiglio dei ministri le bozze delle tre Intese dopo il via libera del Ministero dell’Economia.

Il vertice politico la prossima settimana
Per il via libera alle intese sull’autonomia differenziata di Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna serve ancora tempo. E un vertice politico che la prossima settimana impegnerà il premier Conte e i suoi due vice Di Maio e Salvini. Sui testi, arrivati ieri sera in consiglio dei ministri in forma aperta e circondati dalle tensioni Lega-M5S, bisogna risolvere i tanti punti interrogativi che continuano ad animare il confronto soprattutto con Milano e Venezia.

L’incognita dell’articolo 116 della Costituzione
Quella dell’articolo 116 della Costituzione (così come modificato nel 2001 dalla riforma del Titolo V promossa dal centrosinistra) per dare nuova autonomia ad alcune regioni è una strada ancora tutta da esplorare. Non esiste una procedura ben definita, visto che è la prima volta che la norma (al 3 comma) viene applicata. Dalle bozze delle tre intese esaminate dal Consiglio dei ministri si evince che queste ultime vanno considerate inemendabili dal Parlamento, in quanto l’approvazione da parte delle Camere «avverrà in conformità» del procedimento «per l’approvazione delle intese tra lo Stato e le confessioni religiose» che per prassi parlamentare sono inemendabili. «E invece - commenta il deputato del Pd e costituzionalista Stefano Ceccanti - nella nuova procedura che deve essere definita si deve fare in modo che i parlamentari, cioè il legislatore, possano intervenire».

Il ruolo incerto del Parlamento
«Stiamo valutando come coinvolgere il parlamento», spiega Salvini. Ma «è difficile che i disegni di legge siano emendabili dopo l’intesa perché la cambierebbero», taglia corto la ministra per gli Affari regionali Erika Stefani, concedendo al massimo il passaggio in commissione prima che il premier Conte firmi. Secondo esponenti della maggioranza uno dei modi per consentire a deputati e senatori di dire la loro potrebbe essere quello delle mozioni da presentare in Aula «prima dell’esame dei ddl che recepiscono le intese raggiunte tra Stato e regioni». Trattandosi di un terreno procedurale ancora inesplorato si sarebbe deciso di affidare ai presidenti delle Camere il compito di delineare un iter.

L’ipotesi mozioni
Si dovrà individuare una procedura che, come ribadisce Ceccanti, «concili due questioni: la prima è che c’è un principio pattizio tra Stato e regione; l’altra che ci sia una procedura che consenta l’intervento dei parlamentari». «Le mozioni? Si sarebbero dovute fare prima - ribatte - per dare un indirizzo al governo, non ora che l’accordo sembra raggiunto e il testo già scritto. Anche i parlamentari devono potersi esprimere su un tema così dirimente».

Il nodo risorse
In gioco c’è una serie di poteri che i ministeri non vogliono cedere. Il tema di fondo ancora da sciogliere sono le risorse finanziarie che le tre Regioni reclamano per gestire le nuove competenze: 23 quelle richieste da Veneto e Lombardia, 16 quelle dell’Emilia. Luca Zaia, Governatore del Veneto, ha spiegato che «si parte dalla spesa storica» di ciascuna competenza, “che verrà superata nel giro di tre/cinque anni”, al termine dei quali le risorse non potranno essere inferiori alla media nazionale. Non si tratta di soldi in più da mettere nel conto della finanza pubblica. Ma di fondi statali da regionalizzare. All’inizio, almeno. Perché poi l’entrata in gioco dei fabbisogni standard, e della clausola che garantisce alle regioni del Nord una dote pari almeno alla media pro capite nazionale, promette di cambiare il quadro.


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