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Tav, l’Ue all’Italia: soldi indietro se non si fa. Nel…

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Tav, l’Ue all’Italia: soldi indietro se non si fa. Nel 2011 contavano di più ambiente e lavoro

Arriva l’ultimatum di Bruxelles a Roma sulla Tav. La commissaria Ue ai Trasporti Violeta Bulc ha invitato il governo italiano a chiarire al più presto la proprio posizione perché «più il tempo passa e più aumenta il rischio che i fondi debbano essere riallocati in futuro», ha detto il suo portavoce che ha poi precisato: la Ue potrebbe ridestinare le risorse ad altri progetti europei.
Al pressing europeo ha risposto il ministro dei Trasporti Danilo Toninelli. «Con la Commissione Ue – ha detto – è in corso una fattiva interlocuzione che ha come scopo quello di utilizzare al meglio i fondi europei per le infrastrutture. L’analisi costi-benefici serve a tutti, Ue compresa, per comprendere come impiegare al meglio i soldi dei contribuenti italiani, francesi ed europei».

Peraltro il ministro ha avuto ieri una polemica anche con il componente dissidente della commissione per l’analisi costi-benefici, Pierluigi Coppola, che ha precisato – correggendo le dichiarazioni del ministro – di essere stato incluso nella commissione e di non aver firmato la relazione finale per dissenso. Ha poi ricordato di aver mandato due note al ministro per spiegare la propria posizione.

Resta la posizione Ue espressa nei giorni scorsi che una nuova analisi costi-benefici non era necessaria perché la Ue ha approvato il finanziamento nel 2015 sulla base dell’analisi fatta nel 2011. Tradotto, significa tre cose: l’analisi voluta da Toninelli ha un valore esclusivamente interno italiano; non ha alcun senso per Bruxelles mettere in discussione un’analisi precedente vistata; se proprio Roma vuole fare una nuova analisi, non dovrebbe tanto preoccuparsi di valutare se l’opera sia utile o meno (Bruxelles ha già deciso che è utile) ma valutare piuttosto benefici e costi sostenuti dall’Italia. Uno dei punti critici evidenziati dal dibattito italiano (e anche dalla relazione di Coppola).

Inoltre, ricordando il via libera al documento del 2011, Bruxelles indirettamente apprezza un lavoro che metodologicamente è costruito in modo diverso da quello rilasciato nei giorni scorsi da Marco Ponti, che considera come missione fondamentale del lavoro valutare l’efficienza dell’intervento progettato.

Fare un confronto fra l’analisi di allora e quella di oggi è complicato perché molte cose sono cambiate. C’è in mezzo la crisi economica, ma anche il ruolo assunto dagli investimenti in alta velocità. Da mera direttiva politica europea lo spostamento sul treno è diventato realtà, come dimostra proprio l’Alta velocità italiana. Impossibile oggi non calcolare quanto valga per un’opera connettersi a questa rete Av (cosa che Ponti non fa). Inoltre, sia la Ue che l’Italia hanno adotatto linee guida per lo svolgimento dell’analisi costi benefici che dovrebbero essere considerate obbligatorie all’interno di un processo decisionale ministeriale (ma Ponti se ne è molto discostato).

Qualche differenza è tuttavia possibile sottolineare fra i due lavori. L’analisi del 2011 – che nel suo scenario medio dava per risultato un valore attualizzato netto (la differenza fra costi e benefici) positivo di 11.972 milioni (contro il risultato negativo dell’analisi 2019 pari nello scenario «realistico» a 6.955 milioni) - si basava su una previsione di traffico molto più alta (rivelatasi non realistica) e dava più importanza alla riduzione dell’inquinamento ambientale e della mortalità. Valutava anche l’indotto economico e occupazionale dei cantieri. In generale, l’analisi 2011 valutava con più “benevolenza” il trasferimento modale dalla strada alla rotaia, anche in ossequio alle politiche Ue.

IL CONFRONTO TRA VECCHIA E NUOVA ANALISI
I punti chiave delle due analisi sulla Tav, la prima del 2011 inviata a Bruxelles e quella voluta dal ministro Toninelli appena pubblicata

Sull’analisi 2019, grande polemica sulla riduzione delle accise per le casse dello Stato conseguente al trasferimento modale e la riduzione dei pedaggi che hanno un grande peso nel risultato negativo finale, per 4.532 milioni di euro (di cui solo 2.588 “sterilizzati”), per altro in contrasto con le direttive Ue e nazionali.

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