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Tav, Lega-M5S la congelano. Salvini: «Non c’è…

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braccio di ferro nel governo

Tav, Lega-M5S la congelano. Salvini: «Non c’è blocco, si farà»

Ormai non ci sono dubbi: l’obiettivo principale del Governo è posticipare il rebus Tav a dopo le europee del 26 maggio. Lo conferma la mozione della maggioranza approvata ieri alla Camera da M5s e Lega con 261 sì contro 136 no in cui si impegna il governo a «ridiscutere integralmente il progetto». Siamo al punto di partenza. Al contratto sottoscritto dai gialloverdi ormai nove mesi fa. Anche l’annuncio del ministro per le Infrastrutture Danilo Toninelli che assicura la soluzione entro «due settimane al massimo» non va presa alla lettera. Il M5s non può permettersi di rinunciare alla bandiera del No alla Torino-Lione. Ma la stessa conclusione in senso opposto vale anche per la Lega. Matteo Salvini resta concentrato sulla Sardegna, dove si voterà domenica. A chi gli chiede che cosa succederà risponde con un «si va avanti».

Le opposizioni però lo incalzano. Il Pd parla apertamente di «scambio» tra la partita sulla Torino-Lione e la mancata autorizzazione a procedere nei confronti del ministro dell’Interno: «Salva Salvini, boccia la Tav», c’è scritto sui cartelli che i deputati dem mostrano in Aula al momento del voto. Anche nella Lega si rumoreggia. Roberto Maroni lo dice esplicitamente: «Si confermano le voci sull’osceno scambio». E anche Forza Italia e Fdi non fanno sconti all’alleato di centrodestra con cui si presenteranno in Sardegna e a maggio proprio in Piemonte: «Sono delusa, si condanna l’Italia al terzo mondo», dice Meloni mentre Berlusconi mette l’accento sullo spreco di risorse e posti lavoro. Il ministro dell’Agricoltura, il leghista Gianmarco Centinaio, prova a fare la voce grossa e anticipa, prima del Cdm, che chiederà ai colleghi di governo se l’opera «è congelata o no». Ma la risposta non arriva. O meglio, sono quelle «due settimane» indicate da Toninelli. E che potrebbero coincidere con il «breve rinvio» nella pubblicazione dei bandi per 2,3 miliardi deciso dal Cda di Telt nei giorni scorsi. Nel comunicato del consorzio italo- francese si ricorda che in caso di mancata tempestiva pubblicazione dei bandi c’è la riduzione «immediata» di 300 milioni di euro di contributi europei. Un warning che è ben presente a Toninelli. Il ministro delle Infrastrutture cerca una via d’uscita che eviti contraccolpi, almeno nell’immediato. Per la Lega la soluzione sarebbe quella di avviare intanto la procedura di gara e nel frattempo completare la valutazione scavallando le elezioni Ue. In questo modo si realizzerebbe lo stesso il rinvio ma senza assumere una decisione formale.

Per un fronte che resta aperto ce n’è un altro però su cui il governo cerca davvero l’ accordo: è la riforma del codice degli appalti. Ieri quella che sembra una svolta: l’arrivo imminente di un decreto.

A lasciarlo intendere è il premier nel question time. «Stiamo intervenendo con molta decisione - ha detto Giuseppe Conte - per riformare il codice dei contratti pubblici. Anzi - ha continuato - vi anticipo che con il ministro Toninelli stiamo pensando di anticipare alcune misure del codice dei contratti pubblici perché il Paese non può aspettare, e la crescita economica non può tardare».

Riprende così corpo l’ipotesi del decreto legge che era stata caldeggiata ancora nei giorni passati da Salvini ma frenata finora proprio dai Cinque stelle. Fino a ieri la riforma degli appalti continuava a essere inserita nel disegno di legge semplificazioni approvato dal Consiglio dei ministri il 12 dicembre e mai arrivato in Parlamento.

Ora torna l’ipotesi decreto. Dovrebbe almeno contenere alcune prime norme per rispondere alla lettera di messa in mora arrivata da Bruxelles. Il primo nodo su cui intervenire è certamente il subappalto, ma è probabile, a questo punto, che il governo inserisca altre norme reclamate dalle imprese per velocizzare le procedure.

Possibile un consiglio dei ministri già all’inizio della prossima settimana, magari anche per riapprovare il disegno di legge sulle semplificazioni dopo l’inserimento a Palazzo Chigi delle norme provenienti dai ministeri.

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