Dall’inizio dell’anno, come se si fosse preparata in attesa del pronunciamento della Corte di giustizia sul “caso Tercas”, la posizione della Banca d’Italia a favore di meccanismi – quali l’intervento dei fondi di garanzia dei depositi – per assicurare l’uscita ordinata dal mercato delle banche in crisi si è fatta via via sempre più esplicita.
In interventi pubblici a partire da gennaio, prima del vicedirettore generale, Fabio Panetta, poi del governatore, Ignazio Visco, in occasione del Forex, infine dal capo della Vigilanza, Carmelo Barbagallo, il riferimento più citato è diventata la Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC), l’agenzia federale che ha gestito un numero elevato di crisi di banche – oltre 500 nell’ultimo decennio – con ripercussioni trascurabili sull’economia e sui risparmiatori. E soprattutto, senza alcun ricorso al bail in.
Le analisi di Palazzo Koch
Le analisi di palazzo Koch sono molto chiare sul punto. Un limite dell’attuale regolamentazione (la direttiva Brrd) consiste
nell’aver imposto come condizione per la risoluzione di una banca in crisi la sussistenza di un “interesse pubblico”, da valutare
caso per caso in sede Ue. Questa discrezionalità fa sì che, nel caso di dichiarazione di “dissesto o rischio di dissesto”,
solo un centinaio di banche su circa tremila dell’Eurozona sarebbero sottoposte a procedura di risoluzione. Per tutte le altre,
ovvero le banche minori, resterebbe la sola procedura di liquidazione, da effettuarsi in base alle regole nazionali, tra loro
non armonizzate. Che cosa succede in tutti questi casi quando non si palesa un compratore al quale cedere attività e passività
della banca da liquidare? Si deve applicare la procedura di liquidazione cosiddetta “atomistica”, che distrugge valore per
tutti gli stakeholders della banca liquidata, con le conseguenze amaramente note sulla fiducia del pubblico nel sistema bancario.
Da qui la richiesta di ripensare all'attuale regime regolatorio “dualistico”, come lo ha definito Carmelo Barbagallo appena
una settimana fa, che finisce per dividere in due il sistema: banche che possono essere poste in risoluzione, in caso di crisi,
e banche che possono solo essere liquidate.
Assetto rischioso
Un assetto troppo rischioso, e che può essere superato, appunto, consentendo l’utilizzo dei fondi di garanzia dei depositi
– attraverso interventi “alternativi” al rimborso dei depositi basati sul principio del “minor onere” – sia nella fase che
precede la dichiarazione di dissesto, sia in quella di eventuale liquidazione. Le crisi bancarie devono poter essere gestite
in maniera efficace e rapida, è la conclusione, e recuperare la solida tradizione nazionale basata su interventi del Fondo
interbancario di tutela dei depositi, o di altri “schemi volontari” costituiti con soli fondi privati, vanno in questa direzione.
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