Colorare vestiti e accessori utilizzando tinte 100% naturali realizzate con gli scarti agricoli. La moda che fa bene all’ambiente crea tessuti partendo dalle foglie del carciofo bianco, dalle tuniche delle cipolle ramate, dalle scorze del melograno fino ai ricci del castagno, passando dai residui di potatura del ciliegio e dell'ulivo. Il comparto green pieno di casi di eccellenza presentati nella sede della Cia è protagonista dell'iniziativa di Donne in Campo Cia-Agricoltori italiani e Ispra. E sono grandissime le potenzialità della filiera tessile ecologica, se si considera che la produzione mondiale di indumenti è destinata a crescere del 63% entro il 2030.
La metà degli italiani disposto a pagare il 25% in più per capi ecofriendly
E risulta che il 55% degli italiani è disposto a pagare di più fino al 25% per capi di abbigliamento ecofriendly. «In linea
con l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile - spiegano Donne in Campo di Cia e Ispra - bisogna costruire nuovi sistemi di
produzione a minore impatto ambientale». Pochi lo sanno ma oggi la produzioine di una maglietta richiede in media 2.700 litri
d'acqua, genera elevate emissioni di CO2 e utilizza soprattutto fibre e coloranti di sintesi. Le tinture naturali collegate
all'uso di fibre vegetali e animali, dalla lana alla seta, dal lino alla canapa, possono essere un valido aiuto ai problemi
crescenti di dermatiti allergiche da contatto dovute ai coloranti sintetici. «Recuperando piante e scarti di coltivazione
a uso tintorio - spiegano le organizzatrici - si contribuisce a riqualificare aree dismesse o degradate e a consolidare territori
tutelando al contempo biodiversità e paesaggio».
Tavoli di filiera a sostegno della produzione certificata di fibre naturali
Con l’occasione Pina Terenzi, presidente nazionale Donne in Campo di Cia-Agricoltori Italiani ha chiesto «di avviare con il
Mipaaft e i ministeri dell'Ambiente e dello Sviluppo economico, in collaborazione con l'Ispra, un percorso condiviso e partecipato
per la costituzione di tavoli di filiera a sostegno della produzione certificata di fibre naturali per la produzione di agri-tessuti».
L’alpaca, dal gregge al confezionamento di maglioni, sciarpe e coperte
C’è Gianni Berna, allevatore di alpaca. Ex economista, con studi in America, sia a New York che nel Michigan, si è trasferito
nel 1988 a Umbertide (Perugia) dove, primo in Italia, ha introdotto gli alpaca. Prima più timidamente, con due esemplari portati
dall’Inghilterra, poi con il primo allevamento di alpaca in Italia, partito con 30 esemplari. Via via ha costruito una filiera
completa dell'agro-tessile, che parte dal gregge, passa per la tosatura e filatura della lana e arriva fino al confezionamento
di maglioni, sciarpe e coperte. Rigorosamente di alpaca. «Sono partito da un podere abbandonato creando un agriturismo, poi
allevando cavalli e mucche. Poi anche con la coillaborazione della facoltà di veterinaria di Perugia e dell’Enea è iniziata
la storia dell’alpaca in Italia». Poi hanno iniziato a produrre pullover e sciarpe rigorosamente di alpaca, senza acrili
e sintetici. «Così è nata la filiera dell’alpaca. Vendiamo solo prodotti in azienda, nelle fiere dell’artigianato tessile
e online».
L’archeologa tessitrice
C’è Assunta Perilli, archeologa e tessitrice di Campotosto, che da più di dieci anni si occupa di tessitura a mano e di lavorazioni
tradizionali della lana, del lino e della canapa. Una passione nata dopo aver trovato un vecchio e malridotto telaio della
nonna abbandonato in cantina. E dopo il restauro avvenuto grazie alla collaborazione di donne anziane del paese, Perilli
recupera un sapere non scritto ma tramandato oralmente per generazioni. E ha recuperato un'antica varietà di lino e le sue
lavorazioni tradizionali, confezionando per esempio il kilt donato a Carlo d'Inghilterra dal sindaco di Amatrice dopo il terremoto
del Centro Italia.
Dalle foreste alle passerelle
Dalle foreste alle passerelle con il progetto ForestsforFashion. Le ecodesign Francesca Dini e Anna Maria Russo hanno portato
in passerella per la prima volta, conquistando un posto d'onore al Palazzo di vetro delle Nazioni Unite di New York, una collezione
di moda total green con abiti prodotti da filati di cipresso, pelle di fungo e tessuti in sughero, eucalipto e faggio.
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