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Elezioni Basilicata, la crisi conclamata del M5S

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L'Analisi|elezioni regionali

Elezioni Basilicata, la crisi conclamata del M5S

Non c'è due senza tre: dopo Abruzzo e Sardegna, a certificare la crisi del M5S è arrivato il voto in Basilicata. Stesso copione: voti dimezzati rispetto alle politiche, mentre il centrodestra a traino leghista incorona il suo candidato alla presidenza. L'”effetto Governo” colpisce ancora: affossa i pentastellati guidati da Luigi Di Maio, fa volare i leghisti di Matteo Salvini. Aiutandoli a strappare la Basilicata al centrosinistra dopo 24 anni di amministrazione regionale ininterrotta e ratificando la penetrazione del Carroccio nel Meridione. Con un inedito testa a testa tra gli alleati gialloverdi per conquistare la medaglia di primo partito.

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Il segnale del disagio a Cinque Stelle sta tutto lì: nel risultato della lista a confronto con quello della Lega. Perché, se correndo da soli contro schieramenti di oltre dieci liste la sconfitta del candidato governatore M5S Antonio Mattia era ampiamente prevedibile, molto meno scontato era il piazzamento del Carroccio, che alle regionali del 2013 non era neanche presente e che ora come partito è passato dal 6,3% delle politiche del 4 marzo al 19% di ieri. È dunque nel confronto con l'alleato di Governo che l'arretramento del Movimento si fa bruciante: cinque anni fa in Basilicata i pentastellati ottenevano il 9% dei voti (13 il candidato), alle politiche quasi il 44,4% e adesso si fermano al 20 per cento. Magra consolazione, quella di restare il primo partito, se si è tallonati anche al Sud da un partner nazionale che fino a un anno prima si chiamava Lega Nord.

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Significa, in soldoni, che sta franando quella sorta di spontanea spartizione del radicamento territoriale sancita dalle ultime elezioni nazionali. Ovvero che i Cinque Stelle arretrano anche al Sud (con buona pace dello sforzo immane del reddito di cittadinanza, anche in termini di spesa pubblica), paradossalmente a beneficio della Lega. Saranno le europee del 26 maggio la cartina al tornasole degli equilibri complessivi: un voto più libero di quello nei territori. Difficile, in caso di plateale rovesciamento dei rapporti di forza, che tutto al Governo possa restare com'è oggi. Quel giorno si voterà peraltro anche in Piemonte. E là, per il M5S, potrebbe configurarsi lo spettro che già si è agitato in Sardegna: non solo un centrodestra fortissimo, ma anche un centrosinistra che prova a rialzare la testa e minaccia il sorpasso. Il Pd che risorge.

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Il Movimento paga doppio dazio all'esperienza di Governo. Uno è “naturale”, legato al fatto stesso di essere nato come forza anti-sistema e poi asceso al timone del sistema che si prefiggeva di ribaltare. Il secondo, invece, è più serio e molto meno fisiologico: il pragmatismo post-ideologico in nome del quale è stato sottoscritto il contratto con la Lega ha rivelato tutta la sua fragilità. Spostare il proprio baricentro in base alle convenienze del momento confonde gli elettori. Spostarlo troppo a destra, aderendo senza fiatare alle battaglie identitarie della Lega, a partire dall'immigrazione, allontana sia l'elettorato di sinistra (che torna a guardare al Pd) sia quello di destra, che a quel punto anche nel Mezzogiorno sceglie l'originale invece della copia.

Da qui il rebus della strategia per risalire la china. La riorganizzazione interna annunciata da Di Maio aiuterà il M5S a dotarsi di una specie di segreteria e di coordinamenti regionali. In sintesi: ad assomigliare sempre di più a un partito. Ma i vertici sanno bene che questo maquillage non è sufficiente a recuperare “un'anima”. Davide Casaleggio scommette tutto ancora su Rousseau e sulla democrazia diretta, ma pure questa piattaforma ha mostrato tanti limiti. Di Maio confida nel reddito di cittadinanza e nella crescita, che però ancora non si vede. Con una manovra 2020 all'orizzonte che si preannuncia “lacrime e sangue” e un Def tutto da scrivere, i Cinque Stelle provano a intestarsi nuove bandiere, come il salario minimo, e a recuperare qualcuna delle vecchie, come l'acqua pubblica. Nel frattempo, il caso Roma e l'arresto di Marcello De Vito lo dimostrano, crolla il mito della purezza e della superiorità morale del M5S. Senza che sia ancora saltata fuori dal cilindro la soluzione per arginare la fuga degli elettori. Logico che qualcuno pensi a Giuseppe Conte come futuro volto del Movimento: il gradimento nei confronti del premier sembra tenere. Ma questa è un'altra storia, di cui si potrà parlare soltanto dopo maggio.

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