«Il Mezzogiorno è in recessione», non ha dubbi Luca Bianchi, direttore della Svimez, e lo dice nel corso della presentazione dello studio «La solitudine dei numeri primi», nel corso del Workshop «Conoscere per competere», promosso dalla Fondazione nazionale dei Cavalieri del Lavoro, che si è svolto a Matera. «Se per l’Italia nel suo insieme le previsioni per il 2019 oscillano tra l’1% e lo zero, per il Sud non c’è da farsi illusioni».
Dalla crescita lenta alla frenata
Per Svimez nel triennio 2014-2017 il Paese ha agganciato una “ripresa lenta”, ma nella stagione dell’incertezza è in atto
una “grande frenata”. In linea il Mezzogiorno, che tra il 2015 e il 2017 aveva toccato tassi di crescita pari a quelli del
Centro Nord (risultato positivo e non scontato), ma che oggi resta dieci punti indietro rispetto al 2008. Nella ripresa è
però emersa una divaricazione tra settore privato e settore pubblico. Che ora si va accentuando.
Il calo degli investimenti pubblici
La spesa in investimenti per opere pubbliche è calata molto più al Sud dal 2000 a oggi. La spesa in conto capitale della
pubblica amministrazione, seconde le stime della Svimez, è passata dai 15,2 miliardi del 2015 ai 10,6 del 2017. Si pensi che
nel 2000 era di 22,2 miliardi. A ciò si aggiungono i tempi lunghi nella realizzazione delle opere (in media 4,5 anni ma crescere
con il valore dei progetti) e un minore tasso di efficienza della pubblica amministrazione.
Positiva la dinamica degli investimenti privati
Per la Svimez è rimasto attivo un tessuto di imprese industriali, che hanno utilizzato gli strumenti di incentivazione: legge
Sabatini, Credito di imposta Sud, Industria 4.0 e contratti di sviluppo. Tra marzo 2017 e gennaio 2018 sono state presentate
14mila istanze per il credito d’imposta Sud per 4 miliardi circa di investimenti e 1,5 miliardi di sostegni. Nel Mezzogiorno
in totale nel 2017 gli investimenti in macchine, attrezzature, mezzi di trasporto, sono cresciuti del 7% rispetto all’anno
precedente.
Formazione e capitale umano
La disuguaglianza economica e sociale, secondo Svimez, si riflette sulla scuola. In media 600mila giovani in Italia dopo
la licenza media escono dal sistema di istruzione e formazione professionale. Di questi la metà dei giovani (300mila) sono
meridionali. Nelle stesse regioni del Sud il tasso di abbandono scolastico è ancora oggi pari al 18,5%, contro il tasso del
14% del Centro Nord. Ancora alto rispetto al 10,6% della media Ue a 27. Tra i giovani del Sud poi è molto alta e pari a un
quarto circa la quota di coloro che si iscrivono in Università del Centro Nord. L’emigrazione studentesca causa una perdita
di consumi pubblici e privati di circa 3 miliardi di euro, con impatto sul Pil di 4 decimi di punto.
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