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Con la crisi in Libia sbarchi a rischio ripresa. E l’Ue ha…

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2MILA CIVILI IN FUGA DA TRIPOLI

Con la crisi in Libia sbarchi a rischio ripresa. E l’Ue ha «spuntato» Sophia

Una guerra civile “a bassa intensità” in Libia potrebbe determinare una ripresa degli sbarchi, complice l’arrivo della stagione estiva (foto Ansa)
Una guerra civile “a bassa intensità” in Libia potrebbe determinare una ripresa degli sbarchi, complice l’arrivo della stagione estiva (foto Ansa)

Una guerra civile “a bassa intensità” in Libia potrebbe determinare una ripresa degli sbarchi, complice l’arrivo della stagione estiva e un maggiore coinvolgimento delle milizie che sostengono al-Serraj, a capo del Governo di accordo nazionale (Gan) riconosciuto dall’Onu, nella difesa di Tripoli, con conseguente riduzione dei controlli sulle coste da dove partono i migranti destinazione Italia. Il timore in ambienti governativi è che si vada a ripresentare una situazione simile a quella del 2015, un anno caratterizzato da sbarchi in massa e stragi nel canale di Sicilia. Circola anche una stima: 100mila persone potrebbero tentare di raggiungere la penisola.

In questo scenario, la scelta del Consiglio Ue di privare Sophia, la missione europea contro i trafficanti di esseri umani nel Mediterraneo, di una copertura navale - soluzione che è stata presa anche a seguito del pressing politico e diplomatico dell’esecutivo giallo verde, a cominciare dal ministro dell’Interno Matteo Salvini, affinché i migranti salvati dalle navi non venissero sbarcati esclusivamente nei porti italiani - fa sì che l’Italia potrà contare nei prossimi mesi su uno strumento, alla fine, in gran parte “spuntato”. «Mi sembra una decisione pazzesca - conferma Andrea Dessì, responsabile di ricerca dello Iai, l’Istituto affari internazionali -. Un po’ un teatro dell’assurdo nel senso che suona come un’abdicazione completa di responsabilità da parte dell’Unione europea».

«Il rischio di una ripresa degli sbarchi c’è senz’altro - continua Dessì -. Occorre comunque ricordare che una guerra civile prolungata in Libia potrebbe avere ripercussioni negative non solo per l’Europa, sotto il profilo migratorio ed energetico, ma avrebbe effetti molto destabilizzanti per tutta area nord africana e anche nella zona sud del Sahel, da dove passano la carovane di migranti che raggiungono la Libia. I dati più aggiornati parlano di 600mila persone in Libia, bloccate nei centri di detenzione. Non tutti hanno intenzione di attraversare il Mediterraneo e raggiungere l’Europa. In caso di guerra accesa nel paese del Nord Africa, le rotte migratorie probabilmente si sposterebbero su Marocco e Tunisia, aumentando la pressione su questi due Stati. Ma “aprire i rubinetti dei migranti” potrebbe anche diventare uno strumento nelle mani di Serraj o Haftar per “convincere” l’Europa ad aumentare il sostegno politico, economico e militare. In passato è già accaduto con Gheddafi».

Varvelli (Ispi): una ripresa degli sbarchi? «Ancora presto per dirlo»
Secondo Arturo Varvelli, ricercatore Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale), è ancora presto per dire se la crescente instabilità della Libia determinerà una ripresa degli sbarchi. Anche l’ipotesi di uno spostamento di forze dalle coste alla difesa di Tripoli, aggiunge Varvelli, «mi sembra immediata. Anche la crescente conflittualità non favorisce l’arrivo di nuovi migranti dall’Africa. Sostanzialmente si tratterebbe di una fuoriuscita dalla Libia di migranti che sono già all’interno del paese, cosa che continua ad accadere anche adesso ma non ai livelli di due anni fa».

L’Onu: circa 2.000 gli sfollati di Tripoli
Allo stato attuale non ci sono gli elementi per capire come cambierà l’intensità della pressione migratoria sull’Italia. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (Ocha), sono circa 2mila gli sfollati per gli scontri armati in corso nei pressi di Tripoli, nella Libia occidentale, «dove la situazione resta fluida e imprevedibile». «Non possiamo permetterci una guerra civile», ha sottolineato il capo dell’esecutivo giallo verde Giuseppe Conte. «In Libia dobbiamo evitare il caos e una nuova crisi migratoria», ha detto il presidente del Parlamento Ue Antonio Tajani.

L’intelligence: nuove ondate migratorie, rischio infiltrazioni terroristiche
Il dossier Libia è all’attenzione dell’intelligence, anche per il rischio di infiltrazioni terroristiche: foreign fighters di ritorno dalla Siria che potrebbero infiltrarsi nei flussi di persone pronti a prendere il mare. L’allerta è alta. E non da oggi. Nell’ultima Relazione sulla politica dell’informazione sulla sicurezza, viene spiegato che nel 2018 la Libia «ha costituito oggetto di prioritaria attenzione». «Con riferimento alla rotta libica - si legge ancora -, l'azione informativa ha posto in luce la persistente operatività di strutturati sodalizi delinquenziali capaci di adattarsi agli sviluppi sul terreno». Sotto la lente anche «la situazione nelle zone costiere, ove insistono hub del traffico di clandestini». In generale, mettono in evidenza gli 007 italiani, la precarietà della situazione in Libia, peraltro accentuata nelle ultime ore dall’escalation militare, è uno degli apetti strutturali che potrebbero innescare «nuove ondate migratorie».

A rischio i progetti di sviluppo delle municipalità libiche
L’escalation militare in Libia ha anche un’altra conseguenza. Nell’estate del 2017, sotto il governo precedente, i sindaci libici delle principali città interessate al traffico di esseri umani (da Zuara a Sabrata, a Garabulli a Khoms) hanno presentato all’allora ministro dell'Interno Marco Minniti dodici progetti di sviluppo per le loro comunità su istruzione, sanità, sicurezza, infrastrutture, rilancio del turismo, ambiente e altro. L’obiettivo era quello di mettere queste municipalità nelle condizioni di sviluppare nuovi progetti, finanziati con fondi europei (50 milioni di euro), e di rilanciare l’occupazione, convincendo così i giovani a non mettersi in viaggio per raggiungere l’Italia. Già con il nuovo governo queste intese hanno perso appeal. Lo scontro tra Serraj e Haftar potrebbe ridisegnare la cartina dei rapporti di potere tra milizie e tribù. Con conseguenze non positive su quei progetti.

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