La Flat Tax, gli obiettivi di crescita e i livelli del debito, freschissimi di aggiornamento Istat. Sono i tre temi che finiranno al centro del vertice di governo in programma nel primo pomeriggio, per sgombrare il terreno
del consiglio dei ministri sul Def dal rischio dell'ennesima spaccatura nel governo.
A spingere la tassa piatta di nuovo al centro della scena è l'urgenza politica più che l'attualità economica. Il 26 maggio
ci sono le elezioni europee, accompagnate dalle amministrative in Piemonte e in più di 3.900 Comuni su 8mila, e l'attenzione
nella maggioranza si concentra su quella data.
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Una dual tax più che una flat tax
È in particolare il Carroccio a spingere sull'inserimento della Flat Tax nel Def, di cui il ministro dell'Economia Tria farebbe volentieri a meno anche per evitare ulteriori incognite su un Documento
di economia e finanza già pieno di numeri problematici. Nelle ultime ore un accordo di massima fra la Lega e i Cinque Stelle,
piuttosto freddi sulla tassa piatta mentre spingono sulla loro proposta di Irpef a tre aliquote, sembra trovato. Del resto
la sfida non è impossibile, perché per ora si tratta di mettere nero su bianco delle indicazioni programmatiche senza addentrarsi
nel campo assai più minato delle coperture. La sintesi potrebbe essere trovata su una formula che ribadisca l'impegno del
governo per una riforma fiscale che porti verso la Flat Tax, che in verità è una Dual Tax perché prevede due aliquote differenziate in base a una soglia di reddito da definire: una riforma arricchita da formule
di coefficiente familiare come chiedono i Cinque Stelle «per non favorire chi è già ricco». Anche nelle ultime bozze in circolazione
torna la frase che traccia «il sentiero di riforma per i prossimi anni» in cui si «prevede la graduale estensione del regime
d'imposta sulle persone fisiche a due aliquote del 15 e 20 per cento, a partire dai redditi più bassi, al contempo riformando
le deduzioni e detrazioni». Ma è un obiettivo che richiede tempi non brevi, come ha riconosciuto ieri anche il premier Conte.
E in ogni caso qualsiasi tentativo di modificare l'Irpef dovrà cercare coperture non indolori sul piano politico né su quello
pratico: si guarda prima di tutto alle tax expenditures, cioè al lungo elenco di detrazioni e deduzioni fiscali che è stabilmente
al centro di obiettivi di riduzione dal 2012 ma finora si è allungato a ogni legge di bilancio.
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La crescita sulla carta
All'atto pratico, la questione non potrà essere affrontata davvero prima dell'autunno, come ha sostenuto Tria in parecchie
occasioni. E lì il tema delle coperture diventerà cruciale anche perché sarà impossibile ricorrere ancora a un deficit che
già vola per la mancata crescita mentre si alza all'orizzonte la montagna dei 23,1 miliardi di clausole Iva.
Proprio sulla crescita si gioca l'altra battaglia fra le ambizioni di Lega e M5S e la prudenza di Tria. Sul tendenziale, cioè
sulla dinamica del Pil a politiche invariate su cui si basano i numeri di deficit e debito, c'è poco da fare, al netto delle ultime limature con i dati Istat di questa mattina. Il Pil tendenziale è praticamente piatto, e la politica punta sull'accoppiata di sblocca-cantieri per rianimare un po' gli obiettivi, che soprattutto per la Lega
possono essere spinti anche da effetti finora non calcolati di misure come lo sblocco della liquidazione per i dipendenti
pubblici e la riforma del pareggio di bilancio negli enti territoriali (che può attivare in fretta 4,1 miliardi di spesa aggiuntiva
secondo una nota diffusa ieri dall'Ufficio parlamentare di bilancio). Di qui l'idea di puntare almeno verso quota 0,3-0,4%,
idea piuttosto indigesta al ministero dell'Economia. Memori delle battaglie vane ingaggiate in autunno con commissione europea
e Upb su obiettivi di crescita all'1,5% subito travolti dalla congiuntura, gli uomini di Tria frenano per proporre un dato
meno ostico per i modelli macro-economici.
La doppia spinta al debito
Sul debito, infine, non c'è volontà politica che tenga. Il suo peso sul Pil, cresciuto anche nel 2018 per una crescita più
modesta del previsto e per il balzo nei tassi di interesse, salirà ancora quest'anno, arrivando poco sotto un 133% (132,7%)
che sfonderebbe ogni record nella straindebitata storia dei conti pubblici italiani. La regola del debito, cioè il pilastro
delle norme Ue che chiedono una riduzione progressiva del passivo, non è rispettata «in nessuna delle sue configurazioni»,
chiariscono le bozze del Def. E per evitare la procedura bisognerà appellarsi a un «sostanziale rispetto» del braccio preventivo
del Patto di stabilità: rispetto «sostanziale» ma non pieno, determinato dal fatto che la crescita a quasi zero e la flessibilità
da 4 miliardi ottenuta a dicembre evitano di far crescere anche il deficit strutturale. Ma è un motivo contabile più che «sostanziale».
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