«La Provincia ha un presidente, eletto a suffragio universale dai cittadini dei Comuni che compongono il territorio provinciale, coadiuvato da una giunta da esso nominata». A «coadiuvare» il presidente c’è poi il «Consiglio, avente poteri di indirizzo e controllo, eletto a suffragio universale».
Queste righe non sono una ricostruzione storica sugli ordinamenti provinciali pre-riforma Delrio. Sono tratte dall’ultima bozza delle Linee guida per la riforma degli enti locali a cui hanno lavorato Lega e M5s. E tradotte in legge riaccenderebbero la corsa a circa 2.500 posti fra consiglieri, assessori e presidenti.
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Proprio la traduzione in legge è del resto lo scopo di questo testo. La sua sede è istituzionale, non solo politica; la carta intestata è della Presidenza del consiglio, perché a scriverlo è stato il tavolo tecnico-politico in conferenza Stato-Città istituito dall’ultimo Milleproroghe (articolo 1, comma 2-ter del Dl 91/2018). A guidarlo per la Lega c’è il sottosegretario al Viminale Stefano Candiani; per i Cinque Stelle c’è la viceministra all’Economia Laura Castelli.
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Il tavolo tecnico deve fissare punto per punto le Linee guida per la legge delega, che a questo punto sarebbe in buona parte pre-confezionata tagliando i tempi dei decreti attuativi. Il ritorno alle vecchie Province con elezione diretta è il piatto forte della proposta sugli ordinamenti, che per tagliare i costi punta a cancellare ambiti ottimali, enti intermedi e gli altri «organismi comunque denominati» fioriti nel vuoto lasciato dalla debolezza provinciale. Organismi, questi, che gestiscono funzioni e risorse crescenti pur rimanendo del tutto sconosciuti ai cittadini. Dallo stesso cantiere è attesa la riforma di dissesti e pre-dissesti, tema finito al centro della bufera notturna in consiglio dei ministri sul «salva-Roma».
Ma la tempesta sulla Capitale non ha fermato il lavoro sulla riforma. Province e Città metropolitane sono tornate sul tavolo mercoledì, con le agenzie ancora piene di accuse incrociate fra Lega ed M5s sulla battaglia combattuta poche ore prima a Palazzo Chigi. Ma nella riunione, giura chi c’era, il clima era tutt’altro. «C’è stata un’ampia condivisione sul superamento della situazione attuale», ha spiegato Candiani, e nemmeno dai Cinque Stelle sono arrivate obiezioni.
Ma la proposta, oltre a rianimare le elezioni provinciali abolite nel 2014, fa di più. Il consiglio provinciale non cancellerebbe l’assemblea dei sindaci, cioè l’organo di secondo livello (votato cioè dagli amministratori locali del territorio e non dai cittadini) creato dalla riforma Delrio. E le Province tornerebbero a vivere anche nei territori delle Città metropolitane, affiancate dagli organi della Città che si limiterebbero alle zone davvero metropolitane. Un’architettura non chiarissima, che avrà bisogno di parecchie rifiniture per evitare rischi di sovrapposizione evidenti.
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