Il «salva-Roma» azzoppato dal consiglio dei ministri nella tempestosa riunione di martedì sera porta una pioggia di numeri con il segno «meno» sul Campidoglio: un problema di liquidità che vale 12 milioni il primo anno, 2022, ma sale a 76 già l’anno successivo, per arrivare a 250 milioni nel 2028. Poi è prevista la discesa, ma per pareggiare i conti bisognerebbe aspettare il 2035. In pratica, il Comune erediterebbe il problema oggi previsto nei conti del commissario straordinario al vecchio debito: problema che la rinegoziazione del bond comunale 2003-4 da 1,4 miliardi (costo 3,6 con gli interessi) puntava a evitare. Ma proprio la rinegoziazione è finita sotto le forbici del governo.
Nel nuovo quadro anche le norme sopravvissute colpiscono i conti romani: il primo comma azzera, con la chiusura della gestione straordinaria del debito nel 2021, il conto di debiti e crediti fra Comune e commissario. E il saldo è negativo per il Campidoglio per 340 milioni: perché fra i crediti ci sono i 600 milioni del salva-Roma 2014, promessi con legge dello Stato a carico del commissario ma mai arrivati al Comune. L’altra norma rimasta, inoltre, carica su Roma i debiti commerciali non pagati dal commissario.
Con queste cifre si capisce meglio l’impasto di politica e matematica che ha scatenato la battaglia a Palazzo Chigi. Battaglia che dal caso Siri alla sicurezza supera il raccordo anulare, ma che sul Campidoglio ha trovato l’innesco. E che pare solo agli inizi: per ora, sostiene il premier Conte «è stato definito un percorso sul quale il Parlamento potrà intervenire». «Non servono soldi ma un’amministrazione più efficiente», ribatte il leader leghista Matteo Salvini, annunciando un «piano d’azione per Roma» targato Lega che punta a uno status a sé per la Capitale, all’accesso diretto ai fondi europei e a più poteri per la sicurezza e la polizia locale.
Le cifre sono quelle scritte nel dossier sui tavoli del Mef, e usate dal ministro dell’Economia Tria in consiglio dei ministri per provare senza successo a superare le resistenze leghiste. In pratica: con la norma originaria, il passaggio allo Stato del vecchio Bond - insieme al contributo che oggi il Tesoro paga ogni anno al commissario - avrebbe permesso di ridurre di un punto il tasso oggi al 5,345%. Tradotto, significherebbe oltre 200 milioni di euro in 30 anni (non i 2,5 miliardi rivendicati dai Cinque Stelle), che cancellerebbero i problemi di liquidità. Ma l’operazione creerebbe anche le condizioni per aiutare il Campidoglio, alimentando promesse di riduzione dell’addizionale: una medaglia ai Cinque Stelle indigesta ai piani alti della Lega. Nella versione alleggerita, l’effetto è contrario: e scatena i «no» M5s.
Il nodo tornerà in Parlamento, dove si lavorerà anche ad allargare gli interventi agli altri Comuni in difficoltà, come chiede il leader della Lega. «Il Movimento 5 Stelle è pronto a un decreto legge sui Comuni», rilancia la viceministra all’Economia Laura Castelli nell’ormai abituale botta e risposta interno alla maggioranza. E intanto per un altro gruppo di Comuni in crisi (pre-dissesto) capeggiato da Reggio Calabria, dove la Corte dei conti chiede il rientro dal deficit in 10 anni invece che nei 30 bocciati dalla Corte costituzionale, arriva una nuova proroga per la chiusura dei preventivi 2019. Il nuovo termine è il 31 luglio: nel frattempo dovrebbe arrivare anche la soluzione già pensata per loro, che aprirebbe le porte al ripiano in 20 anni già permesso ai nuovi piani di rientro dalla manovra 2017. In lista d’attesa ci sono poi i 5.500 mini-Comuni sotto i 5mila abitanti, a cui è stato promesso il rinvio al 2020 della contabilità economica.
Ma alla vigilia delle amministrative (3.838 Comuni al voto, il 48% del totale) tutti i dossier sui sindaci vivono un protagonismo insolito. I 500 milioni del decreto crescita per i mini-investimenti locali in risparmio energetico e mobilità sostenibile sono cruciali per far salire a un miliardo il conto degli stanziamenti aggiuntivi per quest’anno rivendicato dal Mef: ma queste risorse arrivano dal Fondo sviluppo e coesione. Nel 2020 e 2021 il contatore torna a 450 milioni l’anno.
In ogni caso la partita in Parlamento sembra destinata a riaprirsi anche sulla gestione del bond del Campidoglio. Nella discussione, che comunque avrà bisogno di settimane per entrare nel vivo, finirà poi il pacchetto di norme per gli altri Comuni, dal salva-Reggio Calabria all’ipotesi di sospensione e rinegoziazione dei mutui dei grandi capoluoghi: ipotesi che ha un costo, crescente con la platea dei possibili interessati, che la Lega vorrebbe allargare a città più piccole. Ma all’orizzonte c’è la riforma del dissesto, in una revisione degli ordinamenti che registra un insolito accordo M5s-Lega: quello sul ritorno delle Province a elezione diretta. Ma per arrivarci bisogna superare i molti scogli dell’attualità più stretta.
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