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Tagli alla spesa, ecco i ministeri più colpiti dalla clausola da 2…

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Tagli alla spesa, ecco i ministeri più colpiti dalla clausola da 2 miliardi

(Imagoeconomica)
(Imagoeconomica)

È una partita sotterranea. Che si gioca già da alcune settimane tra un gruppetto di ministeri e l’accoppiata Mef-Presidenza del consiglio. E che è diventata ancora più complessa e delicata da quando il Governo, aggiornando il quadro “macro” e fissando i nuovi obiettivi programmatici di finanza pubblica, ha ufficializzato nero su bianco con il Def che, per contenere la crescita del deficit, sarà “onorata” la clausola della spesa da 2 miliardi. Ovvero la garanzia fornita a Bruxelles alla fine dello scorso dicembre sul congelamento, non più temporaneo ma in via permanente, di alcune voci di spesa racchiuse nei budget 2019 dei dicasteri.

MINISTERI LA SPESA CONGELATA

Si tratta degli ormai famosi accantonamenti già individuati e “classificati” dall’allegato 3 della legge di bilancio. Ma nel Governo c’è chi preme per ridefinire almeno un quarto di questo maxi-taglio. Quasi 500 milioni che riguardano i ministeri dei Trasporti, dell’Istruzione, del Lavoro e della Difesa sarebbero infatti oggetto di un confronto con il Mef per trovare soluzioni alternative.

L’ultima parola spetterà al ministro Giovanni Tria e al premier Giuseppe Conte. Che potranno decidere di mantenere invariato lo schema delineato dalla manovra o di apportare in corsa alcune variazione mantenendo inalterata l’entità del taglio. A concedere più di una “chance” ai ministri che provano a difendere i propri budget è la stessa legge di bilancio: il comma 1.118 prevede che «con decreti del ministro dell’Economia, da comunicare alle Camere, gli accantonamenti di spesa, su richiesta dei ministri interessati, possono essere rimodulati nell’ambito degli stati di previsione della spesa, ferma restando la neutralità degli effetti sui saldi di finanza pubblica».

Ad avere le maggiori possibilità di salvarsi con il restyling della “clausola” sono soprattutto i 300 milioni di competenza del ministero dei Trasporti al momento sottratti al trasporto locale. Anche perché su questo punto c'è un’esplicita richiesta al Governo contenuta nella risoluzione di maggioranza sul Def approvata dalle Camere. Ma non mancano i tentativi di sbloccare gli accantonamenti almeno su altri tre fronti. A cominciare dai 100 milioni fin qui sottratti al ministero dell’Istruzione, in particolare all’Università e alla ricerca, e agli oltre 40 congelati al Lavoro, in primis sul versante delle politiche sociali e della famiglia. Nella trattativa potrebbero poi rientrare 35 dei 158 milioni del budget della Difesa “bloccati”, che riguardano l’impiego dei carabinieri per la sicurezza.

Dovrebbero contribuire a sbrogliare la matassa anche i due viceministri all’Economia, Laura Castelli e Massimo Garavaglia, che pur avendo perso quasi a tempo di record l’incarico di commissari straordinari alla spending review dovrebbero mantenere compiti di coordinamento del lavoro di razionalizzazione della spesa pur sulla base delle direttive di Tria. Secondo quanto prevede attualmente l’allegato 3 dell’ultima manovra, le ricadute più pesanti dell’operazione “accantonamenti” sono a carico delle imprese. A rimanere al momento bloccati sono i 481 milioni della dote del ministero dell’Economia alla voce “competitività e sviluppo delle imprese” (incentivi e interventi di sostegno attraverso il sistema della fiscalità), ai quali si aggiungono 150 dei 159 milioni targati ministero dello Sviluppo economico sempre con le stesse finalità. Si tratta in tutto di 631 milioni, poco più di quanto vale lo stop complessivo a vari capitoli di spesa del Mef (quasi 1,2 miliardi).

La “classifica” dei dicasteri colpiti vede al secondo posto il ministero delle Infrastrutture e trasporti con 301 milioni, seguito da Mise (159 milioni), Difesa (158 milioni) e Istruzione (100 milioni). A oltre 40 milioni ammonta il blocco forzato delle risorse a disposizione del ministero degli Affari esteri. Ad essere sfiorati appena dalla clausola della spesa sono Salute (2 milioni di “contributo”) e Beni culturali (1,4 milioni) mentre il ministero del Lavoro vede accendersi il semaforo rosso su poco più di 40 milioni.

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