A meno di dimissioni in extremis, per Armando Siri il redde rationem arriverà stamattina in Consiglio dei ministri, convocato alle 9.45. Secondo il copione preparato dal premier: Giuseppe Conte presenterà la proposta di revoca del sottosegretario leghista alle Infrastrutture, di concerto con il ministro competente Danilo Toninelli, e “sentirà” il Cdm, per poi trasmettere la richiesta al presidente della Repubblica per la firma del Dpr. Un passaggio formale, come ha già precisato il Colle. Nel parere del Consiglio dei ministri risiederà la novità rispetto alle revoche dei sottosegretari avvenute in passato, come quella di Sgarbi nel 2002: la proposta del premier non passerà con un “sì” collegiale, ma neanche si andrà al voto. Una mossa che consente alla Lega di addossare la responsabilità del licenziamento di Siri a Conte e al M5S.
La frattura non farà dunque cadere il Governo, almeno non oggi, secondo quanto hanno assicurato ieri sia Luigi Di Maio sia soprattutto Matteo Salvini. Che però al fatalismo su Siri («Andrà come andrà, ma in Italia non si possono fare processi fondati sul nulla, senza uno straccio di prova») ha affiancato il contrattacco: «Porterò al Cdm la proposta di flat tax: è nel contratto, è un’esigenza per evitare di crescere dello zero virgola». «Becera propaganda», è stata la replica di fonti governative M5S.
La breccia nell’alleanza gialloverde è innegabile e pone un’ipoteca pesantissima sulla sopravvivenza dell’Esecutivo dopo le europee del 26 maggio. Entrambi i vicepremier ieri hanno messo sul tavolo le loro priorità, che non collimano affatto. «Mi sembra evidente che con il M5s ci sia una spaccatura e non solo su Siri», ha certificato Salvini, ospite di Matrix: «C’è una differenza di vedute su Tav, autonomia, immigrazione». In Cdm Salvini e i ministri della Lega chiederanno spiegazioni sui dossier «bloccati da mesi». A rincarare la dose ci ha pensato il viceministro alle Infrastrutture, Edoardo Rixi, che aspetta il verdetto dopo il rinvio a giudizio a Genova per peculato e falso nell’ambito dell’inchiesta sulle “spese pazze” del Consiglio ligure tra il 2010 e il 2012. Potrebbe essere suo, in caso di condanna, il nuovo scalpo che i Cinque Stelle pretenderanno in futuro. «Il tema che può far cadere il Governo - ha chiarito Rixi - non è il caso Siri, ma l’eventuale blocco dei cantieri di Genova, Milano, Palermo o al Centro Italia o se il M5s non ci fa ultimare le opere». E sulla Tav, che era scomparsa dai radar delle polemiche, ha avvisato: «Si è deciso di procedere con i bandi, quindi sarà realizzata e sarà pronta nel 2030-2031».
Una dichiarazione di guerra al Movimento. «La Lega cerca pretesti per rompere», tuonano i pentastellati, convinti che il Carroccio voglia usare il decreto sblocca cantieri come casus belli. Di Maio ha rilanciato sui temi cari al M5S. In conferenza stampa con il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, ha colto l’occasione dell’inchiesta sulle tangenti a Milano che ha travolto Forza Italia e Fdi e dell’ennesima indagine a carico del governatore Pd della Calabria, Mario Oliverio, per rivendicare al suo «Movimento di rompiscatole» la medaglia di baluardo anti-corruzione. «Tangentopoli non è mai finita», ha attaccato, lanciando un appello: «Alziamo un muro contro la corruzione anche nel modo di gestire le proprie forze politiche. Zingaretti metta fuori Oliverio, Fi espella i suoi esponenti coinvolti nell’inchiesta, Fdi chiarisca». Ma tra i destinatari c’è prima di tutto la Lega: «Faccia dimettere Siri e non arrivi alla conta». E sul governatore lombardo Attilio Fontana Di Maio ha preso tempo: «È giusto aspettare la valutazione del magistrato». Ma intanto al Pirellone volavano gli stracci tra i consiglieri leghisti e pentastellati.
In ogni caso, anche Di Maio ha negato il rischio crisi passando il cerino all’alleato. E a sua volta ha dettato l’agenda del M5S per il “dopo”. Dando per acquisito il varo alla Camera entro la settimana del Ddl sul taglio dei parlamentari, ha annunciato quattro leggi: conflitto d’interessi, regolamentazione dei rapporti tra istituzioni e lobby, carcere per gli evasori e riforma dei processi civile e penale anche per ridurre i tempi della giustizia. Su quest’ultima le posizioni sono lontane, le prime tre non sono in cima ai pensieri della Lega. È sempre Salvini a chiarirlo: «Chiunque voglia combattere davvero l’evasione fiscale, non lo fa solo con le manette ma tagliando le tasse».
Come, con i 23 miliardi di aumento Iva da sventare e gli allarmi della Commissione Ue sui conti pubblici alla deriva, è il rebus che Conte e Tria dovranno risolvere, con Salvini che già parla di sforare il 3%. Sempre che il Governo regga: dal Colle non confermano, ma sono tante le voci di contatti tra Palazzo Chigi e il Quirinale su eventuali consultazioni.
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