Da sabato 11 maggio a domenica 2 giugno si svolge il 102simo Giro d’Italia. L’avvio è da Bologna, per la seconda volta città di partenza della corsa rosa. L'arrivo sarà invece a Verona, luogo magico, crocevia di musica e cultura, arte e anche sport. In totale 3578, 8 km di strada divisi in 22 tappe che toccano i luoghi più significativi del Paese. In questo primo reportage parliamo di una città (Bologna) per capire dove sta andando l’Italia in un momento non facile della sua vita politica, economica e sociale. Seguiranno articoli su L’Aquila, Cuneo e Verona.
Venticinque anni dopo ritorna. Sabato 11 maggio il 102esimo Giro d’Italia prende il via da piazza Maggiore con una cronometro di 8 km che arriva al Santuario di San Luca, luogo del cuore del regista bolognese Pupi Avati che lo ricorda così quando sua madre, per chiedere una grazia, lo portava su quella rampa di buon mattino: «Qualche ardimentoso tentava di affrontarla in bicicletta, ma non ricordo nessuno che, a quei tempi, fosse salito sulle Orfanelle senza scendere di sella e mettere giù i piedi. Da allora, per me, quella curva è sempre stata l'archetipo della salite…».
È la seconda volta che il Giro d’Italia parte da Bologna. L’ultima era stata nel 1994, quando vinse il russo Evgeni Berzin. Un altro mondo, un'altra epoca: e non solo ciclistica.
I leader mondiali erano Bill Clinton e Boris Eltsin. C’era già internet, ma i cellulari servivano solo per telefonare. Non
c’era l’Euro, ma c'era già Silvio Berlusconi, leader vincente del centrodestra alle elezioni post tangentopoli. La Lega era
quella di Bossi e Maroni. Beppe Grillo era solo un comico. E Luigi Di Maio frequentava la terza elementare.
E Bologna? Bologna la Grassa, Bologna la Dotta, Bologna la Rossa? È poi cosi cambiata dai tempi in cui Francesco Guccini, in una sua celebre canzone, la definiva “Una vecchia signora dai fianchi un po' molli”?
A vederla così, in una piovosa mattina di maggio, coi suoi portici a far da ombrello agli studenti assonnati e ai turisti moltiplicati, non sembra diversa da quella di 25 anni fa. Ancora più invecchiata, certo, ma meno segnata dalla disoccupazione e dal lavoro precario. E anche i venti dell’insicurezza e dell'immigrazione, che tanto soffiano sui destini del Paese, qui si stemperano in tensioni più locali, e generazionali, come l’eterno conflitto tra i giovani studenti scapestrati, che tirano a far mattino con qualche canna di troppo, birra e schiamazzi, e la crescente intolleranza dei vecchi bolognesi, «troppo anziani ormai per dare il cattivo esempio» come dice il sociologo Marzio Barzagli, profondo conoscitore delle dinamiche delle Due Torri.
Di giorno però la luce spazza via le inquietudini. I caffè si riempiono. Ci sono progetti da portare avanti, giovani che scommettono
ancora sul futuro.
«Sì, Bologna è una città dove alcuni distretti tengono lontana la crisi. Penso al packaging, alla automazione e a tutto quello
che è la Motor Valley», spiega Michele Poggipolini, presidente di Confindustria Emilia e responsabile delle vendite nell’azienda di famiglia, leader nel
settore della meccanica di precisione.
«È una città ricca grazie all'Università, ma anche ai tanti gli istituti tecnici», prosegue Poggipolini. «In molti ambiti
riusciamo ancora a fare la differenza. in certe nicchie di mercato continuiamo ad essere vincenti».
La terra dei motori dell’Emilia-Romagna, culla dei marchi storici simbolo del Made in Italy come Ferrari, Lamborghini, Maserati, Ducati e Dallara è uno straordinario laboratorio di tecnologie innovative. «Il nostro territorio - precisa con orgoglio Poggipolini - è trainante.
Stiamo trainando il nostro Paese nel mondo grazie alle nostre competenze, alle automazioni e, soprattutto, alla capacità di
sviluppare nuovi prodotti».
«I giovani? Altrove non so, ma qui c'è molto fermento. Basti guardare le Università e gli istituti tecnici, ben sette, tutti
importanti. I giovani che vengono da noi hanno una gran voglia di entrare e crescere nel mondo del lavoro. Penso che alcuni
strumenti come l’alternanza siano necessari per far capire ai giovani che cosa vuol dire lavorare».
Eppur si muove, insomma. Merito dei motori, ma non solo. Anche Romano Prodi, tra l’altro grande appassionato di ciclismo, parla di una Bologna fuori dai venti della crisi. «Il tessuto generale tiene,
c'è una certa sicurezza», conferma il Professore. «C'è però la necessità di ritrovare quel ruolo di guida in alcuni settori
di innovazione assoluta. Un tempo era la fisica, poi abbiamo avuto grandi momenti innovativi nella genetica agraria, c'è sempre
bisogno di un punto di riferimento di eccellenza mondiale».
Ottantamila studenti, turisti che si moltiplicano in modo esponenziale. Bologna riesce ad accogliere tutti? « C'è stato un
impressionante boom turistico, una sorpresa che nessuno si aspettava», ribadisce Prodi. Da un lato Ryanair ha fatto dell’aeroporto
un punto di arrivo. Poi l’alta velocità dei treni ha reso ancor più centrale la già centrale posizione di Bologna. Il turista
straniero prima viene da noi, poi in 33 minuti va a Firenze, in un’ora a Milano o a Venezia. E alla fine si ferma e si innamora
di Bologna…».
Cosa ne pensa di questo Giro? Perchè il ciclismo italiano ha perso la sua forza trainante? «Perché sono cambiati i tempi. Al di là degli investimenti, il ciclismo italiano lo vedo male. Poi voglio ricordare una cosa: il ciclismo è fatica, fatica e fatica. E di gente che vuol far fatica, soprattutto in Italia, se ne trova sempre meno…», ammicca il Professore con uno di quei suoi sorrisi alla Prodi, come a dire che il discorso sulla fatica si potrebbe allargare a tanti altri settori…
Ma ci sono altre ferite aperte, avverte la scrittrice e giornalista Lia Celi, firma irriverente sui social e conduttrice televisiva. «Il Giro d’Italia è una ottima metafora. Come il ciclista passa e conserva un bel ricordo della città, così fanno anche i turisti e gli studenti che l’affollano sempre e però vanno via. Il ricordo è meraviglioso, ma poi? Vero che Bologna fa parte di quella lunga striscia che parte da Piacenza e arriva fino al mare lungo la via Emilia, però mancano i giovani di Bologna che 40 anni fa inventavano nuova musica, nuovi modi di espressione, disegnavano, scrivevano… Ora quei giovani sono tornati, ma sono diventati lamentosi anche loro… Vedono solo i difetti, eppure qui la qualità della vita è ancora ottima». «Credo che sia un problema anagrafico», prosegue Lia Celi. «Non dimentichiamo che a Bologna negli anni Ottanta sono accadute vicende drammatiche: il terrorismo, le stragi, le violenze della contestazioni, cose orribili che hanno fatto perdere l'innocenza alla città. Bologna si è rialzata, ma quella ferita, quel trauma, devono essere ancora elaborati».
Torniamo alle due ruote, alla sostenibilità della città. A Bologna il traffico ciclistico negli ultimi anni è raddoppiato.
Molte strade sono state chiuse alle auto private. «Ma si potrebbe fare di più», spiega Simona Larghetti, giovane presidente dell'Associazione Salva Ciclisti e direttrice della Consulta del bicicletta del Comune. «Bologna è una
città privilegiata perchè , essendo in pianura, ha una lunga tradizione di ciclismo urbano. Ma anche noi abbiamo subìto gli
aspetti negativi della grande motorizzazione. Però negli ultimi dieci anni qualcosa è cambiato. Sempre più persone usano la
bicicletta, le piste ciclabili sono diventate sicure e nel centro le due ruote sono il mezzo privilegiato».
Che cos'è che non va? «Purtroppo, siamo ancora indietro. Bisognerà aspettare fino al 2030 per eliminare i mezzi più inquinanti
dal centro storico, laddove città come Parigi e Madrid entro i prossimi due anni non avranno più diesel in città. Non dico
di confrontarci con la Danimarca, Paese dei sogni, ma se guardiamo che cosa succede in Spagna, Paese culturalmente molto simile
all’Italia, dove la rivoluzione ciclistica negli ultimi 10 anni è cresciuta in mondo incredibile, noi siamo ancora molto indietro».
© Riproduzione riservata