Quale sarebbe il danno per il sistema dei trasporti se davvero da domenica prossima, 19 maggio, il traforo del Gran Sasso fosse chiuso? Innanzitutto bisognerebbe capire quanto sia reale il rischio che la chiusura scatti davvero domenica prossima, come finora disposto dal gestore dell’autostrada su cui il traforo si trova. Dopo il primo incontro fra il gestore e il ministero delle Infrastrutture sembra che il rischio si allontani. Ma non si può ancora dire: la partita non riguarda solo il traforo, ma tanti altri viadotti e gallerie abruzzesi.
La questione inquinamento
La Strada dei Parchi (Sdp), società di gestione dell’autostrada A24 Roma-L’Aquila-Teramo su cui si trova il traforo (tratto
Assergi-Colledara), continua a parlare di chiusura dal 19 maggio, a causa dell’inchiesta giudiziaria sull’inquinamento delle falde acquifere che la vede coinvolta assieme all’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn, che
ha il suo laboratorio all’interno della montagna) e al gestore della rete idrica locale (Ruzzo Reti). Il processo si aprirà
il 13 settembre e Sdp chiuderebbe per evitare la reiterazione del reato.
A Sdp viene contestata la presenza di toluene, che sarebbe finito nelle falde a seguito di lavori di manutenzione del 2017 (dopo un’altra contaminazione del 2002, per la quale fu nominato un commissario straordinario che nel 2006 dichiarò di aver risolto il problema). Secondo i pm, in cantiere si sarebbero dovute prendere precauzioni per evitare la contaminazione.
Secondo l’associazione ambientalista Forum H2O, pare si tratti comunque di un problema minore rispetto alle 2.300 tonnellate di sostanze chimiche pericolose prodotte dal laboratorio di fisica nucleare. L’Infn precisa che nel laboratorio non si producono sostanze pericolose, ma ci sono «apparati per ricerche nell'ambito della fisica astroparticellare, cioè delle particelle che arrivano dallo spazio: si tratta di osservatori dedicati a captare fenomeni naturali molto rari. Non viene, dunque, prodotta alcuna sostanza pericolosa, ma alcuni di questi osservatori utilizzano idrocarburi come componente essenziale, totalmente isolata dall’ambiente circostante».
Oltre al rischio di una condanna per il toluene, per Sdp c’è anche quello di dover provvedere a proprie spese a interventi che mettano in sicurezza le falde.
L’autostrada da rifare
Ma molti ritengono che la minaccia di chiusura non sia collegata al processo e ai costi per le falde. Da mesi è scoppiata
la questione della sicurezza in caso di terremoto, che - lo si sa da anni - renderà necessario rivedere in profondità buona parte della rete Sdp (non solo la A24, ma anche la A25, Torano-Pescara).
Per affrontare il rischio sismico, ci sono fondi pubblici e sono possibili vari interventi: da quello radicale - bocciato dal ministero - di cambiare tracciato abbandonando i viadotti e sostituendoli con tratti in galleria (costava 7 miliardi, che sarebbero verosimilmente andati a beneficio della holding del gestore, Carlo Toto, che è anche costruttore), all’adeguamento del percorso esistente (3,1 miliardi).
C’è un braccio di ferro tra Sdp e il ministero, quanto alla disponibilità dei fondi. La società sostiene che non ci sono le coperture per questa spesa pubblica, il Mit ribatte che non è vero. E aggiunge che farà la sua parte, ma anche il gestore deve impegnarsi seriamente contro il degrado di altre parti dell’autostrada (tesi respinta da Sdp).
In attesa che il Cipe sblocchi i fondi necessari, sono stati avviati i lavori minimi indispensabili con 250 milioni stanziati dallo Stato (58 già erogati e utilizzati): risistemazione dei giunti tra un impalcato e l’altro dei viadotti, per evitare che in caso di scosse creino dislivelli fra loro o s’incastrino in modo da muoversi assieme ai piloni sottostanti, cosa che potrebbe portare al crollo di questi ultimi.
In mancanza di soluzioni definitive, sugli 87 viadotti (su 339) classificati a rischio, Sdp impone ai mezzi pesanti il divieto di sosta e l’obbligo di mantenere una distanza di 100 metri tra l’uno e l’altro. Misure di sicurezza che lasciano il tempo che trovano.
Ma non c’è solo il rischio sismico: c’è anche quello statico. Si contano varie denunce, causate dalla vista di ferri arrugginiti non più coperti dal calcestruzzo. Questo di per sé non vuol dire nulla: bisogna verificare se l’ammaloramento ha intaccato anche i ferri più interni facendoli non solo ossidare ma anche distaccare dal calcestruzzo.
A settembre, alle richieste di cittadini preoccupati, il ministero aveva risposto di non avere soldi per le verifiche e uno studio commissionato dal gestore a una società del suo stesso gruppo aveva dato risposte tranquillizzanti. Il ministero ha completato un suo studio, meno ottimistico. Non è ben chiaro se sia fondato su test approfonditi o su un generico principio di cautela, che appare più doveroso del solito dopo il crollo del Ponte Morandi a Genova.
Le strategie del ministero
Dunque, dietro la vicenda del Gran Sasso c’è una partita che vale miliardi e responsabilità. Il ministero finora l’ha giocata
con una certa durezza: il ministro, Danilo Toninelli, è andato più volte in Abruzzo e non ha risparmiato dichiarazioni anche sui social. E, in giornate in cui si sovrapponevano
varie questioni del settore (tra cui quelle che riguardano il principale gestore, Autostrade per l’Italia), ha preferito concentrare
l’attenzione mediatica su Sdp (che attualmente con Aspi non ha alcun legame societario).
In questo modo, però, Toninelli ha finito col dare a Sdp un’arma in più. Lo si può capire proprio con la minaccia di chiusura il 19 maggio: la notizia sta destando molta preoccupazione, per cui il ministero potrebbe essere costretto a concedere qualcosa alla società, per evitare di essere ritenuto perlomeno corresponsabile con Sdp per un provvedimento che - si dice - taglierebbe in due l’Italia.
Tanto più che non risulta che il ministero abbia pronta una soluzione più drastica, come il commissariamento di Sdp o la revoca della concessione.
Forse anche per questo il ministero, dopo l’ultimo incontro con Sdp, ha diramato un comunicato distensivo. Vi si parla della possibilità di nominare per i problemi del traforo un commissario anche questa volta, ma nell’ambito del decreto Sblocca cantieri. Sdp vorrebbe che il commissario avesse poteri tali da sollevarla da qualsiasi responsabilità sull’inquinamento delle acque, ma è chiaro che si sta trattando anche sul risanamento e adeguamento di tutta l’autostrada (e quindi anche sul piano economico finanziario del gestore stesso, che per finanziare questi ultimi lavori prevede anche i forti aumenti tariffari che tanto fanno protestare i pendolari abruzzesi e del Lazio orientale).
L’importanza del Gran Sasso
In realtà, l’A24 è un’autostrada importante più a livello locale che nazionale. Lo mostrano i dati e la logica. L’ultima pubblicazione
ufficiale disponibile (il resoconto dell’Aiscat sul traffico autostradale del primo semestre 2018) parla di appena 45.897 veicoli effettivi medi giornalieri sul tratto Torano-Teramo, che comprende il traforo. La stessa A24 diventa ben più trafficata (169.284
veicoli) da Roma a Torano, tratta molto battuta dai pendolari.
Il volume di traffico della Torano-Teramo non è granché nemmeno in confronto con altre autostrade a due corsie di lunghezza analoga. Per esempio, la A31 della Valdastico (che oltretutto è monca della parte trentina) ha consuntivato 58.830 veicoli, la A22 tra Verona e Modena ne ha avuti 83.079, la Bologna-Padova 130.080.
È più o meno in pareggio il confronto con il tratto dell’autostrada adriatica A14 appena a sud di Pescara (46.458 veicoli), dove il traffico si dimezza rispetto a quello tra Ancona e Pescara. Andando ancora più a sud, l’A14 perde definitivamente le caratteristiche di affollamento tipiche delle arterie fondamentali per la viabilità nazionale (37.454 tra Lanciano e Canosa).
Rispetto ai primi mesi successivi ai terremoti che nel 2016 hanno colpito Lazio, Abruzzo, Marche e Umbria, la A24 non è più nemmeno un itinerario alternativo: l’Anas ha ripristinato buona parte della viabilità fra Roma e la parte sud delle Marche. La statale principale, la via Salaria, ha ancora cantieri, tra cui alcuni che impongono il senso unico alternato con semaforo. Ma il traffico non è mai tale da creare code che rendano consigliabile a che deve raggiungere Roma di “allungarsi” fino all’A24.
Dunque, il traforo del Gran Sasso è importante più perché è il più lungo che si trovi interamente in territorio italiano (poco più di 10 chilometri, meno di altri che l’Italia condivide con altri Paesi, come quello del Monte Bianco con la Francia) e perché collega l’Aquilano al Teramano e ad altre importanti zone dell’Abruzzo.
E infatti Confindustria parla della possibile chiusura dal 19 maggio come di «un danno enorme», ma riferendosi alle imprese dell’Abruzzo interno. Che comunque meritano collegamenti all’altezza, anche per riprendersi dopo i terremoti che si sono succeduti negli ultimi dieci anni.
© Riproduzione riservata