Certamente, almeno in Italia, è stata una campagna elettorale in cui di Europa si è parlato meno del dovuto. E anche la prima ondata di commenti ha avuto come priorità la situazione interna. Tutti argomenti giustificati dalla straordinaria incertezza e dalle emergenze che, a partire dall’andamento dei conti pubblici, risulteranno evidenti nei prossimi mesi. Ma è un errore grave concentrarsi sugli alberi dietro casa senza vedere la foresta. Le osservazioni di geopolitica non lasciano scampo. È in corso uno scontro tra giganti: la Cina, per la prima volta, ha messo in discussione i primati americani nelle tecnologie avanzate, nell’intelligenza artificiale, nelle telecomunicazioni globali. Terzo incomodo, grazie alla forte leadership di Putin, è la Russia. In più un altro colosso, l’India, presidia la frontiera orientale con la forza dei numeri della popolazione e delle tradizioni assorbite durante il dominio inglese.
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L’Europa, grande mercato di consumi e per questo corteggiato da tutti, è di fronte a una scelta decisiva: ritrovare nuovo slancio o rassegnarsi a un rapido tramonto per il prevalere delle divisioni. Nel primo caso potrà giocare un ruolo nella partita in corso a livello mondiale. Nel secondo è chiaro che gli Stati europei, anche quelli più forti come la Germania, dovranno rassegnarsi a essere soltanto spettatori. Sarebbe un vero peccato perché verrebbe meno un elemento di dialettica importante: l’Europa è stata, nella storia, culla della democrazia e della cultura, motore del mondo. Può e deve dare contributi importanti, per esempio, perché venga perseguito con forza e come bene assoluto l’obiettivo più importante di tutti: la pace globale, perché il tempo delle guerre venga superato. Possibilmente per sempre.
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Non può essere però l’Europa della Germania o della Francia, né l’Europa che ruota intorno all’asse tra Germania e Francia. Per questo l’Italia deve attrezzarsi per non restare al margine del campo.
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Può farlo perché, nonostante tutto, siamo la seconda industria manifatturiera europea, perché abbiamo risorse che tutti ci invidiano, perché su molti fronti continuiamo ad essere i migliori. Per avere un ruolo occorre archiviare il teatrino della politica, la demonizzazione dell’avversario ad ogni costo, la ricerca del consenso a prescindere dai contenuti, la demagogia e la superficialità che prendono il posto della capacità di visione sugli scenari futuri.
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Scelte sono necessarie in tempi brevi. Entro giugno sono attese le nomine dei presidenti della Bce e della Commissione europea, così come saranno decisi i vertici dell’Europa uscita dalle urne. È bene che l’Italia non risulti latitante, assorbita dalle lacerazioni provocate dalle beghe interne. C’è un principio della fisica che non lascia scampo: gli spazi vuoti vengono sempre occupati. Dagli altri. Dopo sarà difficile, e soprattutto inutile, recriminare. I risultati elettorali consegnano un Parlamento europeo più articolato del precedente, dove ogni sintesi sarà inevitabilmente più difficile. Anche per questo i parlamentari italiani potranno trovare spazio e margini di manovra che, tuttavia, nessuno ci regalerà.
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Sul fronte interno c’è una priorità: la politica deve al Paese chiarezza. All’orizzonte si distingue bene un fronte di pioggia battente che avanza rapido e può trasformarsi facilmente in tempesta capace di fare danni enormi. I conti dell’economia non tornano. Entro l’anno, per farli quadrare, sarà necessario trovare da 30 a 45 miliardi, che non sono poca cosa. Le politiche di austerità hanno fallito perché la riduzione dell’imponente debito pubblico richiede sviluppo economico, ma finora la capacità d’investire sulla crescita con determinazione è mancata. È bene non perdere altro tempo. Il rischio è che i mercati finanziari non ne concedano più. E, se lo spread andrà fuori controllo costringendoci a pagare prezzi drammatici, la colpa non potrà essere data alla speculazione internazionale.
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