L’Italia non ha alcuna chance nel prossimo futuro di incidere sulle decisioni dell’Unione europea, al contrario della narrazione prevalente in campagna elettorale da parte della Lega di Matteo Salvini, diventata ampiamente il primo partito dopo il voto di domenica scorsa che ha ribaltato gli equilibri nella maggioranza di governo. Il momento per fare i conti a Bruxelles è arrivato prima del previsto. E la realtà amara dei numeri condanna l’Italia ad una posizione di sostanziale irrilevanza come è stato evidente già al vertice di martedì sera.
Le decisioni che contano continueranno ad essere prese dal Consiglio europeo, cioè dai Capi di Stato e di governo, soprattutto nella fase di transizione in cui né la Commissione né il Parlamento sono nella pienezza delle proprie funzioni e tanto più che il risultato elettorale ha reso sostanzialmente inapplicabile il metodo dello Spitzenkandidaten che avrebbe dato legittimazione popolare diretta al nuovo capo della Commissione. Il presidente del Consiglio Donald Tusk aveva chiarito sin dal vertice di Sibiu il 9 maggio che le due nomine di peso, Bce e Commissione sarebbero state di competenza della “camera degli Stati”.
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La composizione del Consiglio
Per capire perché l’Italia resta tagliata fuori dalle decisioni che contano bisogna guardare alla composizione del Consiglio: su 28 membri nove sono espressione di forze politiche di area liberale che aderiscono all’ALDE e sono guidati dal premier francese Emmanuel Macron. Altri nove sono dei Popolari e fanno riferimento alla cancelliera tedesca Angela Merkel, con l'incognita dell’ungherese Victor Orban che potrebbe abbandonare il Ppe per seguire il progetto sovranista di Salvini. I cinque socialdemocratici (S&D) sono guidati dal premier spagnolo Pedro Sanchez. I sovranisti sono il polacco Morawiecki e la premier britannica May (ma questa è da considerare ormai fuori dai giochi) del gruppo Conservatori e riformisti (Ecr). Chiudono l’elenco il greco Tsipras (Sinistra unitaria) e due non iscritti ad alcun gruppo, Grybauskaite (Lituania) e il presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte. Il quale, non a caso, l’altra sera è stato l’unico (a parte la May) a non avere alcun incontro bilaterale, a diffenza dei colleghi. Un handicap non da poco quando si tratterà di stringere alleanze per ottenere decisioni gradite all’Italia.
Macron, tutt’altro che sconfitto, dà le carte con la Merkel
Morale: poiché le decisioni rilevanti si prenderanno ancora in Consiglio, a dare le carte saranno i Popolari del Ppe e i liberali dell’Alde, cioè la Merkel e Macron. I governi sovranisti in Consiglio sono quasi assenti se si fa eccezione per la Polonia, e così sarà in Commissione dove al massimo si troveranno allineati i tre commissari indicati da Polonia, Ungheria e Italia. Ma è difficile che vengano concessi loro portafogli di peso. In Parlamento, infine, con questi numeri è difficile che i sovranisti riescano ad andare al di là di una rumorosa opposizione. Con un’altra importante annotazione che in Italia è sfuggita: la forte ascesa dei Liberali europei è legata al risultato ottenuto in Francia da En Marche di Macron che è arrivato dietro al Front National della Le Pen, ma con un distacco inferiore a un punto percentuale e con un solo seggio di distanza. La Le Pen, peraltro, ha perso sia in termini percentuali che di seggi (uno in meno) rispetto al 2014.
Mentre Macron ha ottenuto un risultato ancora più rilevante se si pensa alle contestazioni dei Gilet gialli che negli ultimi 6 mesi sembravano aver messo in un angolo il presidente. Tutt’altro che sconfitto, dunque Macron sta giocando le sue carte e se riuscisse a piazzare la liberale danese Margrethe Vestager, commissaria alla Concorrenza, al vertice della Commissione, potrebbe aspirare a nominare un francese al vertice della Bce, per la quale ha buoni candidati. Ma perché il piano si compia manca un tassello: la presidenza del Consiglio Ue dovrebbe andare ad un tedesco di indiscutibile autorevolezza e il nome non può che essere quello di Angela Merkel. Ma c’è un ostacolo: lei stessa, che ha già detto di voler andare in pensione e ciò potrebbe aprire le porte della presidenza della Bce a Jens Weidmann. Ma i giochi sono appena cominciati e le caselle dovranno chiudersi quasi contemporaneamente. I nomi che circolano sono tanti, nessuno italiano.
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