Quella che la Commissione Ue si appresta a “raccomandare” ai ministri (e dunque alla valutazione politica dei governi) è tecnicamente una procedura per disavanzo eccessivo causato dal mancato rispetto della regola del debito. E le cifre sono queste: nel 2018 il debito è stato pari al 132,2%, rispetto al 131,4% del 2017, nel 2019 si attesterà al 133,7% e nel 2020 raggiungerà il 135,2%.
Il criterio del debito, così come codificato nel Fiscal Compact e nelle sue ulteriori declinazioni (in particolare il Two Pack) non è dunque rispettato poiché prevede che il debito vada ridotto di un ventesimo l’anno e comunque proceda con sufficiente velocità verso l’obiettivo del 60% del Pil. La violazione dunque – stando alle regole (che si possono e forse devono cambiare ma che fino a quando sono in vigore vanno rispettate) – è evidente.
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Ad aggravare il quadro, nel 2018 non vi è stata alcuna riduzione del deficit strutturale, che è il parametro fondamentale in quanto fotografa l’andamento del deficit al netto delle una tantum e delle variazioni del ciclo economico. Il governo si era impegnato un anno fa a ridurlo dello 0,3%.
Nel calcolo cumulato 2018-2019 si arriva a uno scarto dello 0,7% tra Roma e Bruxelles, vale a dire 11/12 miliardi. Non è questa l’entità della correzione che viene richiesta, ma una manovra correttiva tra lo 0,2 e lo 0,3% del Pil (da 3,6
a 4,8 miliardi) da varare entro l’anno potrebbe certo costituire un segnale per evitare di finire nel girone dei “sorvegliati
speciali”.
Intanto vediamo quali sono le prossime scadenze e quali le conseguenze qualora a luglio l’Ecofin aprisse formalmente la procedura.
La Commissione “raccomanda”, i governi decidono. Con la raccomandazione che la Commissione Ue si appresta ad approvare, di fatto si chiede ai governi europei di esprimersi sulla necessità di avviare nei confronti dell'Italia una procedura di infrazione sul debito. Il primo step prevede che su tale richiesta si pronunci il Comitato economico e finanziario, vale a dire l'organismo tecnico che raggruppa gli “sherpa”, i direttori generali dei rispetti ministeri delle Finanze. Poi la palla passerà all'Eurogruppo convocato per il 13 giugno a Lussemburgo, che a sua volta girerà l'intera “pratica” all'Ecofin del 9 luglio. Ed è questa la sede in cui verrà presa la decisione finale: avvio formale della procedura oppure rinvio o infine sospensione in presenza di eventuali impegni aggiuntivi prospettati dal governo. Un percorso a ostacoli che può anche prolungarsi per anni.
Finora la procedura di infrazione per disavanzo eccessivo causato dalla violazione del criterio dei debito non è mai stata applicata per nessun paese europeo. Questa sarebbe la prima volta e scatterebbe nei confronti del nostro paese una sorta di sorveglianza rafforzata, con un stretto monitoraggio (ogni tre/sei mesi) per verificare se le azioni correttive richieste per rientrare dalla “deviazione significativa” evidenziata siano effettivamente poste in essere. Manovre correttive che rischiano di essere anche molto pesanti poiché inevitabilmente comporterebbero aumenti delle tasse e tagli alle spese e ai servizi sociali. In sostanza viene definita una sorta di calendario per l'adozione delle misure di correzione richieste.
Il monitoraggio riguarda sia i tempi di attuazione degli interventi che la “qualità” delle misure correttive. Per questo si può prevedere che un'eventuale apertura di infrazione sul debito possa dispiegare i suoi effetti su un orizzonte quanto meno triennale, se non oltre. Qualora i piani di rientro predisposti non fossero ritenuti sufficienti a riportare il debito su una traiettoria di progressiva discesa, arriverebbe da Bruxelles un secondo invito ad adottare un nuovo piano di rientro. Se anche quest'ultimo fosse valutato negativamente, allora potrebbe essere imposto l'obbligo di un deposito infruttifero pari allo 0,2% del Pil (3,6 miliardi), con possibilità che possa essere ridotto o incrementato, e che comunque verrebbe convertito in ammenda nel caso in cui la raccomandazione di correggere il disavanzo eccessivo non fosse rispettata. E potrebbe scattare in questo caso anche un’ulteriore e più pesante sospensione dei fondi di coesione europei. La sanzione sarebbe poi ulteriormente incrementata in caso di persistente inosservanza della raccomandazione.
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