Sul tema della famiglia in Italia sono ricorrenti i confronti valoriali e ideologici, mentre troppo poca attenzione viene prestata alla situazione concreta delle famiglie con figli e di quelle che vorrebbero averne, ai problemi che tale attenzione evidenzierebbe e alle risposte che le politiche danno a questi. Bene quindi che attori di più parti politiche esprimano ora l’intenzione di intervenire sulle misure di sostegno alle famiglie per riformarle e rafforzarle, riconoscendone l’inadeguatezza e l’obsolescenza.
Le famiglie svolgono una cruciale funzione di riproduzione delle generazioni, rilevante nella sfera privata, ma cruciale anche nella dimensione collettiva, per il presente e il futuro sociale ed economico del nostro Paese.
Nell’attuale situazione le famiglie in Italia riescono sempre meno a svolgere tale funzione. Il numero dei nati è in costante contrazione: nel 2018 è stato di 449mila (dato stimato), 128mila in meno rispetto a 10 anni fa. In contrazione costante anche il tasso di fecondità, 1,32 figli per donna, fra i più bassi in Europa, a fronte del tasso di sostituzione del 2,1 che consentirebbe il ricambio naturale della popolazione, disatteso da circa 40 anni.
Il declino della natalità sotto certi livelli non è una tendenza fatale, irreversibile, ma è legato alle politiche di sostegno che vengono assunte e praticate con coerenza e continuità, come testimoniano esperienze estere ma anche nostre situazioni regionali. Sostegni occasionali non possono, infatti, offrire ai genitori le rassicurazioni che facilitano le loro impegnative scelte di generare figli.
L’Istat ha elaborato per Save the Children un «Mother Index» sulla condizione delle madri rispetto all’impegno di cura, al lavoro e ai servizi per l’infanzia: evidenzia che dove le condizioni socioeconomiche sono più favorevoli, maggiore è la propensione a generare.
Le attuali misure nazionali di sostegno economico alle famiglie presentano gravi limiti. In quelle monetarie la parte del leone la fanno gli assegni al nucleo famigliare, le cui erogazioni (quasi 4,2 miliardi di euro) vanno a chi ha una situazione o un percorso di lavoro dipendente e un reddito famigliare sotto una certa soglia, calcolato su criteri obsoleti diversi dall’Isee. Nelle detrazioni fiscali sono dominanti quelle per famigliari a carico (12,3 miliardi), che si rapportano al reddito complessivo individuale Irpef, non quindi al reddito famigliare, e che escludono dai benefici quanti hanno redditi inferiori alla soglia.
I limiti dei due aiuti più potenti
L’80% circa dei 22,8 miliardi del budget per la famiglia sono assorbite da queste due misure, ciascuna delle quali seleziona i beneficiari su criteri non universali, non rapportati al bisogno dei nuclei con figli, e ha scarsi effetti redistributivi.
Analoga valutazione va riproposta per le tante altre misure riportate in queste pagine, molte delle quali legate all’evento nascita, limitate ai primi anni di vita del bambino, e non strutturali, affidate cioè a scelte contingenti dei bilanci annuali dello Stato.
L’insieme di queste misure lascia l’Italia fra i Paesi europei che meno spendono per le famiglie, pur assorbendo comunque una consistente quota dell’intera nostra spesa assistenziale che viene dispersa su criteri e erogazioni non eque né efficaci, nel senso che non offrono alle famiglie rassicurazioni certe ed adeguate per affrontare gli oneri della genitorialità.
Ben venga quindi una coraggiosa riforma che non solo proponga una misura nuova, ma abroghi quelle vecchie spostando le risorse sulla nuova. Quanto purtroppo non è stato fatto con il Rei (reddito di inclusione) e soprattutto con il Rdc (reddito di cittadinanza) per il contrasto alla povertà.
La direzione di marcia è positiva e potrebbe convergere con la proposta di assegno unico per le famiglie avanzata da Del Rio per il Pd. Precedenti elaborazioni in merito sono state quella nel 2016 di Irs e Capp e il progetto di legge con primo firmatario il senatore Lepri, che la chiusura della passata legislatura non permise di approvare.
L’integrazione certa dei redditi famigliari per fronteggiare i costi dei figli per tutta la durata della loro crescita e formazione è misura essenziale, ma non sufficiente. Un’efficace politica per le famiglie con figli richiede, infatti, altre componenti in tema di: occupazione femminile e conciliazione fra oneri famigliari e lavoro (durata e indennità in particolare dei congedi di paternità e parentali); disponibilità diffusa di servizi per bambini (scarsa dotazione, drammatica nel Sud, e costosità di asili nido); interventi complementari ai percorsi scolastici per bambini e adolescenti; formazione e inserimento lavorativo per i giovani.
Oltre alle carenze di offerta, questi servizi richiedono particolari attenzioni in ordine al superamento delle disuguaglianze, accentuatesi negli ultimi anni e persistenti di generazione in generazione, perché sono di fatto più accessibili per coloro che stanno meglio e hanno anche più capacità ad utilizzare le opportunità.
Anche nel campo delle politiche famigliari, come in quello delle politiche contro la povertà e occupazionali, occorre integrare redditi carenti, ma servono anche sostegni e servizi universali e accessibili territorialmente e culturalmente da tutti. Che accompagnino le famiglie nell’impegnativo compito di generare, crescere ed educare. E i figli in quello di formarsi e inserirsi nella società e nel lavoro, coltivando loro competenze e capacità, a vantaggio dello sviluppo personale e del capitale sociale, fattore determinante anche per la crescita economica di un Paese.
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