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Servizio |dalle aliquote agli investimenti

Condono sulle cassette di sicurezza, Salvini rilancia la vecchia idea della Lega

Far emergere il contante (e gli altri beni di valore) chiusi nelle cassette di sicurezza per destinarne gli importi recuperati all’economia reale. L’idea rilanciata dal vicepremier Matteo Salvini nel corso di Porta a Porta - che si è poi affrettato a smentire che si tratti di una nuova tassa - non è certo una novità.

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Non lo è per il governo gialloverde né per gli esecutivi che lo hanno preceduto. C’è chi la chiamava più nobilmente “voluntary” chi “sanatoria”, ma alla fine nessuna forma di condono sul contante è mai andata in porto. Nel 2016, secondo il ministero dell’Economia, l’economia non osservata (sommerso economico e attività illegali ) valeva circa 210 miliardi di euro, pari al 12,4 % del Pil. Il valore aggiunto generato dall’economia sommersa ammonta a poco meno di 192 miliardi di euro, quello connesso alle attività illegali (incluso l’indotto) a circa 18 miliardi.

Tra i primi a denunciare come il vero nodo da sciogliere fosse quello del contante è stato il capo della procura di Milano, Francesco Greco. Si tratta di contante di cui non si conosce la provenienza e che, se per molti potrebbe essere semplicemente un accumulo di risparmio, in altri casi invece potrebbe essere di fonte illecita, quindi un provento di evasione fiscale, di riciclaggio o di attività criminali.

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Il progetto dell’estate 2018
Su un condono del contante, come detto, la Lega si era portata avanti facendo circolare il suo progetto sui tavoli del governo gialloverde già nell’estate 2018. Un progetto che consentiva il rientro dei capitali in contanti o custoditi nelle cassette di sicurezza dagli italiani con il versamento di una cedolare che il Carroccio ipotizzava al 15 o al massimo al 20 per cento. Due aliquote non casuali e che sono quelle poi fissate per la flat tax delle partite Iva: la prima già in vigore (regime forfettario) per chi ha ricavi o compensi fino a 65mila euro e l’altra già prevista dalla legge di Bilancio ma che scatterà dal 2020 per chi ha ricavi o compensi fino a 100mila euro.

Di fatto, l’idea non si discostava molto dal principio posto alla base delle due voluntary disclosure targate Pd che però non prevedevano un’aliquota predefinita come gli scudi fiscali di Berlusconi e Tremonti ma concedevano uno sconto sulle sanzioni penali e amministrative a fronte del pagamento delle imposte dovute sui capitali sottratti a tassazione in Italia e detenuti illegalmente oltre confine. Due operazioni che hanno riscosso particolare successo garantendo all’Erario maggiori entrate per 5 miliardi di euro tra imposte e sanzioni già versate con la prima e la seconda edizione del rientro dei capitali.

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Il reinvestimento
Il progetto della Lega prevedeva un secondo pilastro, ossia l’obbligo di reinvestimento delle somme portate alla luce del Fisco. L’eccedenza fatta emergere o fatta rientrare in Italia non sarebbe comunque rimasta nella piena disponibilità del contribuente, ma avrebbe dovuto essere obbligatoriamente investita in Piani individuali di risparmio di medio e lungo periodo (Pir), che oggi garantiscono uno sconto pieno di imposta sulla plusvalenza se mantenuti in portafoglio per almeno 5 anni. L’ipotesi del passato Governo, poi bocciata per il veto della sinistra confluita in Leu e di una parte interna allo stesso Pd, prevedeva l’obbligo di investimento dell’eccedenza in titoli di Stato o in bond.

Idea accantonata
Poi l’idea della Lega è stata accantonata nel percorso che ha portato alla manovra. La scelta era inizialmente caduta sul condono del 20%, la cosiddetta dichiarazione integrativa speciale, che per volontà del Movimento 5 stelle aveva già escluso i capitali esteri. Poi in conversione del decreto fiscale fu fatta una retromarcia totale su questa sanatoria anche se tra legge di bilancio e decreto collegato sono state messe in campo ben 10 definizioni agevolate, o se vogliamo chiamarli con il loro nome condoni: dai verbali agli accertamenti, dalle liti alle cartelle.

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