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Il robot Pippo e l’altra Italia

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L'Editoriale|viaggio nell’italia che innova

Il robot Pippo e l’altra Italia

Ho fatto un sogno: un robot di nome Pippo, che deve tutto all’uomo, ma grazie all’intelligenza artificiale di cui dispone fa tutto da solo, parte da Palermo, attraversa lo Stretto, risale l’Italia con la sua macchina, parcheggia all’aeroporto di Malpensa, sale su un volo per New York, fa sempre tutto da solo, chiude il suo viaggio a Manhattan, si muove tra Wall Street e il Palazzo di Vetro, e se la ride in mezzo ai grattacieli nell’ora blu. Ho fatto un sogno ancora più grande: il mio amico Pippo non fa le pulizie in casa, non è il robot che spolvera o taglia l’erba, non è un umanoide e, cioè, una macchina al servizio dell’uomo, ma un androide, vale a dire un uomo “artificiale” che sprigiona vita artificiale e, quindi, ci assomiglia sempre di più, “figlio naturale” di ingegneri, fisici, informatici, linguisti, biotecnologi, scienziati che hanno lavorato tutti in Italia, nella terra dell’automazione industriale. Qui, dove tra Milano, Torino, Emilia e pezzi sparsi ma importanti, ci sono catene di imprese che fanno del nostro Paese il secondo produttore d’Europa e tra i primi cinque al mondo.

Pochi lo sanno, ma in questo mondo affascinante dove confluiscono scienza dei materiali, meccatronica, logica, stoccaggio, energia, telecomunicazioni, meccanica di precisione, big data, noi ci siamo, abbiamo primati mondiali, ci sono imprese italiane che custodiscono il segreto della tecnologia: se entri in un supermercato australiano e paghi il conto il lettore di quel codice a barre è nato a Bologna; se vuoi salire sulla prima auto robot senza guidatore che ti porta dall’Emilia a Shanghai devi sapere che quell’auto è stata inventata in un laboratorio universitario di Parma che è stato a sua volta venduto all’americana Ambarella per trenta milioni di dollari ma resta qui; senza fare tanta strada nella stessa città, ti imbatti nel campus della Chiesi Farmaceutici e scopri che investe in ricerca e sviluppo il 20% del suo fatturato, 300 milioni l’anno, fa ricrescere con le cellule staminali le cornee perdute ed è la prima azienda europea per numero di brevetti. Per raccontarvi il sogno italiano di Pippo ci siamo affidati al nostro Piero Angela, che è Luca De Biase, e a un team straordinario qual è quello di Nòva24, e vi vogliamo guidare da oggi per quindici giovedì consecutivi in un viaggio nel futuro che è già dentro le vostre case e i vostri pensieri, al lavoro e in famiglia, ma senza che ce ne rendiamo fino in fondo conto e, soprattutto, senza percepire quanto potrà ancora di più incidere questo pezzo di futuro, con le sue invenzioni e le sue macchine più o meno intelligenti, nella nostra vita quotidiana.

Vi spiegheremo come funzionano gli automi e, soprattutto, che cosa ci possiamo fare, quanto valgono davvero i grandi archivi di numeri (big data) e che cosa ci raccontano della società, come cambia la statistica, perché la scoperta delle proprietà del grafene è soltanto la più importante tra le molte che riguardano molecole dalle funzioni prevedibili e programmabili, perché la sharing economy è una bandiera di libertà, innova la società e cambia la dimensione dell’economia, i geni, i sensori, l’ecosistema e così via, sempre come funzionano e soprattutto sempre che cosa ci possiamo fare noi. Esploreremo i segreti del cervello e la fisica delle particelle, perché il futuro dell’imprenditoria innovativa cammina spesso con la testa, il cuore e le gambe di una startup e di uno dei tanti cervelli italiani. L’Italia è un Paese di innovatori, ma ancora prima la seconda manifattura d’Europa, il genio e il talento di un unicum assoluto dove si mescolano scienza e digitale con arte, che vuol dire creatività, design, moda, artigianato, ma anche più propriamente con il manufacturing e, cioè, quel mix inimitabile e tutto italiano di bellezza e tecnologia, il segno di una cultura cosmopolita. Da oggi vi racconteremo, a modo nostro il futuro, vi racconteremo il futuro per tutti con una sfida divulgativa assolutamente dichiarata, ma lunedì e martedì prossimo, con i piedi ben piantati per terra, vi racconteremo da Bologna, il primo giorno dall’opificio Golinelli e il secondo dal Mast, la prima tappa del Viaggio nell’Italia che innova con lo scopo dichiarato di demolire attraverso i fatti, donne, uomini in carne e ossa, macchine e talenti che si possono toccare, il più terribile, e infondato, dei luoghi comuni che dipinge l’intera classe imprenditoriale italiana come poco lungimirante, ripiegata in difesa, incapace di fare innovazione e ricerca.

Nulla di più falso, guai a confondere i morti con i vivi, se questo Paese produce ogni anno 400 miliardi di esportazioni e 100 e passa di saldo attivo manifatturiero, è perché appartengono ancora a questo Paese i primati della meccanica strumentale e di precisione, delle macchine utensili e dell’automotive ma anche del biomedicale e della chimica di specialità, l’arredo-design e il sistema moda, agro-alimentare, aerospazio, difesa e tanto, tanto altro. Non lasceremo nulla di inesplorato, ma sarà forse più facile scoprire sentendo i protagonisti, toccando le cose, quanto incide l’assenza di un vero credito d’imposta per l’innovazione sulla rilevazione della quantità e della qualità della ricerca privata e di come sia urgente attivare la leva fiscale per capitalizzare questo patrimonio inestimabile e tornare ad essere il luogo di attrazione della migliore risorsa umana che si forma nelle nostre università e, ancora troppo spesso, sceglie di andare a vivere e lavorare dove ritiene di poter vivere e lavorare con maggiore soddisfazione e, cioè, quasi sempre fuori dall’Italia.

Con “Gioielli, bambole e coltelli”, esattamente ventitré anni fa, questo giornale, raccontò agli italiani che non li conoscevano, i suoi distretti industriali, le mille piccole e grandi capitali della manifattura, oggi vi racconteremo, regione per regione, l’Italia che innova e, possiamo assicurarvi, che le sorprese, come allora, non mancheranno. Ancora una volta sarà una storia di imprese e territori, di capitani temerari e di intelligenza giovanile, in quella terra di nessuno dove imprese e università hanno già cominciato a dialogare e fanno cose che valgono primati mondiali. Forse, la sfida più bella è proprio quella di documentare un’altra Italia, sopravvissuta alla più lunga crisi finanziaria globale e costretta a fare i conti con le macerie del terrorismo globale e i suoi venti di guerra. Fare capire a tutti che su quest’Italia che non ha fatto patti perversi né con la pubblica amministrazione né con la criminalità organizzata, il male assoluto da isolare e combattere, bisogna scommettere a viso aperto, senza se e senza ma, partendo dai suoi territori, con la forza e l’intelligenza della politica che deve riconoscere le priorità e agire di conseguenza, mettere in rete università e imprese, ma avendo l’ambizione di fare le cose in grande con la Silicon Valley nell’area dell’Expo a Milano e il sogno nel cassetto di quel robot di nome Pippo che faccia discutere di noi nel mondo e regali all’Italia, in dieci anni, quello che oggi nessuno è in grado economicamente di quantificare. Come avviene sempre con le grandi invenzioni e come è già avvenuto in Italia, proprio a Milano, con Giulio Natta, il polipropilene isotattico e le vaschette di plastica della Moplen che cambiarono il modo di vivere degli italiani. A volte il futuro ha il fascino antico del passato, e può aiutarci a rivivere la suggestione positiva dell’unico vero miracolo economico italiano quando la lira vinceva l’Oscar mondiale delle monete e un Paese agricolo di secondo livello diventava prima una economia industrializzata e poi una potenza economica. Abbiamo bisogno di un nuovo “polipropilene” per cambiare la testa nostra, di tutti, a casa e a scuola, e quella di chi guida la macchina dello Stato e degli enti locali. Sappiamo che ci stiamo muovendo nella direzione giusta, ma abbiamo bisogno di crederci e di dire come stanno davvero le cose, per non fare gli errori di un lungo passato, e ripetere il miracolo.

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