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Istanbul: in viaggio tra palazzi, intrighi e segreti

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Istanbul: in viaggio tra palazzi, intrighi e segreti

Aiuole multicolori nel quartiere di Sultanahmet, attorno alla Moschea Blu (foto Alamy / Milestone Media)
Aiuole multicolori nel quartiere di Sultanahmet, attorno alla Moschea Blu (foto Alamy / Milestone Media)

Chi pensa che i tulipani siano olandesi sbaglia. L'Olanda importò i bulbi dalla Turchia nel XVI secolo, ed è qui, nella terra dei sultani, che sono diventati simbolo nazionale e della primavera di Istanbul. Dall'aeroporto Atatürk al centro storico, sono venti i chilometri di bordure gialle e rosse, mentre aiuole multicolori accendono il Sultanahmet, circondando per intero la Moschea Blu. E sono i tulipani ad accompagnarci nei più diversi itinerari, in una città dove, passo dopo passo, continui a migrare tra Oriente e Occidente, tra passato e futuro.

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Ci si accovaccia sui tappeti da preghiera che rivestono i pavimenti della Moschea di Solimano, e si avverte tutta la forza della tradizione del misticismo islamico. Si resta d'incanto davanti agli smeraldi del Topkapi – dentro a teche che paiono quelle di Tiffany – e si rivive lo sfarzo quotidiano dell'antica città dei sultani. Poi, come per magia, ecco che ci si ritrova sotto i libri appesi al soffitto dell'Istanbul Modern, il bianco Museo di Arte Moderna ricavato all'interno di un ex magazzino del vecchio porto. Sotto, in strada, la gente assapora il pane caldo, croccante e coi semi di papavero, e gusta un bicchierino di cay, il tè bollente. Oltre il Bosforo, c'è la riva asiatica della città. E una splendida vista sul Corno d'Oro, con il Palazzo Topkapi, il Museo di Santa Sofia e la Moschea Blu: basta un solo colpo d'occhio per capire perché Istanbul è detta l'unica città al mondo costruita su due continenti. E su due sogni.

SULTANAHMET, LA GARA DELLE VANITÀ
Il Sultanahmet, il cuore storico di Istanbul, è come uno scrigno di tesori. E che tesori. Santa Sofia (Ayasofya in turco) è il segno che Giustiniano volle per affermare la grandezza dell'Impero Romano. Fu costruita in meno di sei anni e inaugurata nel 537 con una festa pantagruelica che coinvolse tutta la popolazione. La sua cupola centrale sembra poggiare sul vuoto, ma è l'insieme delle mezze cupole che la sostiene arditamente. Fu la chiesa più importante della cristianità sino al 1453, quando divenne moschea per poi essere trasformata in museo nel 1935 da Atatürk. Ma la sua grandezza non era abbastanza. Non per il sultano Ahmet I, che per placare Allah decise di far costruire quella che conosciamo come Moschea Blu. E lo fece esattamente dirimpetto: una sfida a colpi di minareti, di azzardi architettonici, di decori surreali. Il nome di Moschea Blu è infatti legato alle ceramiche azzurre di Iznik che adornano gli interni, specie quelli della galleria. La semplicità e il rigore sono invece il segreto della bellezza, impareggiabile, della Moschea di Solimano I (1520-1566), il più ricco e potente dei sultani ottomani. Per realizzarla volle un architetto contemporaneo a Michelangelo, Mimar Sinan, paragonabile in quanto a maestria ai grandi del nostro Rinascimento. Fu lui a scegliere gli scalpellini armeni, i migliori del mondo, e a progettare questo intricato quartiere in miniatura con cucine, bagni, scuole di teologia, biblioteche, vetrate policrome e l'immenso salone rettangolare coperto da un doppio strato di tappeti (sopra i nuovi, sotto quelli antichi). Solimano il Magnifico fu uno, ma non il solo, dei sultani che abitarono il Palazzo Topkapi. 700 mila metri quadri di opulenza e di echi di intrighi e aneddoti (come quello di Selim II detto l'Ubriacone, che annegò nel suo bagno dopo aver esagerato con lo champagne), di porticati e ricche sale che custodiscono uno dei tesori più grandi del pianeta: dagli utensili delle cucine alle pesanti armature, dalle porcellane cinesi ricevute in dono ai mantelli di seta, fino ai Corani con miniature in oro e gioielli. E che gioielli. Diamanti di ottantasei carati, smeraldi grandi come susine che adornano pendagli, pennacchi di turbanti, pugnali. Persino i candelabri sono tempestati di decine di brillanti, mentre i baldacchini intarsiati di madreperla e cristallo fanno a gara in sfarzosità con le culle ricoperte di piastre d'oro. Ancora oggi, è tutto lì, insieme ai vassoi di rubini e giade.

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L'ORIENTE SEGRETO, SULLE BANCARELLE
Se al Topkapi gli stranieri sono consuetudine, alla Moschea di Eyüp se ne vedono ben pochi. È il luogo più sacro, e segreto, di Istanbul. Sullo sfondo di un quartiere dal fascino decadente, nel complesso edificato sopra la tomba di Ayoub al-Ansari, amico fidato del profeta Maometto, si vedono musulmani in preghiera e bambini vestiti di bianco con il copricapo decorato con lustrini che attendono la cerimonia della circoncisione. Sulla cima del minareto, anziché la consueta mezzaluna islamica, ci sono calamaio e matita: i simboli di evoluzione e illuminazione. Data la sacralità del luogo, gran visir e personaggi importanti vollero essere seppelliti all'interno del suo perimetro, così è facile individuarne le tombe, ottagonali, poiché questa forma geometrica esprimeva la ricerca dell'infinità di Dio. Dal sacro al profano, il richiamo alle radici islamiche e mediorientali è costante. Provate a fare un giro al Mercato delle Spezie o Mercato Egiziano. Le decine e decine di bancarelle che espongono spezie odorose e rimedi naturali facevano parte della Moschea Nuova e l'affitto delle postazioni ne finanziava la manutenzione e le opere caritatevoli a essa collegate. Ancora oggi i turchi stessi vengono qui a rifornirsi di albicocche, noci e frutta secca. Con in mano un sacchetto di pistacchi tostati, vale la pena fare altri due passi e andare a visitare il mercato vicino. Non ha un nome, ma si riconosce per grandezza e perché le sue bancarelle, tutte all'aperto, sono specializzate in fiori, semi e uccelli canori. E perché, qui, i turisti sono in numero minore rispetto al Grand Bazar (Kapalıçarsı) che, con le sue oltre 4000 botteghe, continua a ragione ad attirare una folla di ricercatori di souvenir, ignari dell'originario bedestan, il piccolo magazzino in muratura voluto da Mehmet il Conquistatore cresciuto nel tempo, e nello spazio, insieme alla città.
Se a questo punto del viaggio ci si vuole prendere una pausa dalla frenesia cittadina, il Mar di Marmara permette di soddisfare ogni esigenza di mare con le sue Isole dei Principi, comodamente raggiungibili e verdissime, da girare rigorosamente in bicicletta. Oppure per organizzare un picnic, godersi il panorama e nuotare. Prima di fare ritorno nella metropoli.

UN VIAGGIO NEL TEMPO E NELL'ARTE
Qui ci si può proiettare in un'altra dimensione. Quella del Palazzo Dolmabahçe, ad esempio, che con la sua "giovane" età (risale al 1855) risente moltissimo del gusto europeo. Il sultano Abdul Mejid vi trasferì la corte dal Topkapi e con la sua realizzazione affossò le già compromesse finanze. Marmo bianco dell'isola di Marmara, una maestosa sala dei ricevimenti con 56 colonne, un lampadario in cristallo con 750 lampadine. Poi vasi di Sèvres, ringhiere in cristallo veneziano, tappeti di seta, bagni con pareti rivestite di alabastro e un Padiglione degli Uccelli in onore degli ospiti dove nel 1938 morì Atatürk, il fondatore della Repubblica turca. Colui che aprì al Paese le porte della modernità, una modernità che a Istanbul preme attraverso nuovi musei e istituzioni, ma che non calpesta la memoria della terra dei sultani. Così, si passa dalla visita alla cisterna sotterranea di , voluta da Giustiniano il Grande per rifornire d'acqua buona parte della città anche in caso di assedio, a quella della Çemberlitas, la colonna di Costantino e baluardo più antico della città. Per catapultarsi, nel pomeriggio, nel visionario Istanbul Modern, il Museo di Arte Moderna che ospita una collezione di arte turca e mostre di artisti contemporanei. Le bianche pareti che si specchiano nel Bosforo fanno risaltare le opere, spesso di grandi dimensioni; i corridoi sono ampi, luminosi e silenziosi. Dal soffitto della bibliotecapendono, come un'installazione, centinaia di volumi, mentre i laboratori per bambini e le postazioni multimediali sono affollate. Perché i nuovi musei non vogliono essere meri contenitori di pittura, scultura e fotografia. Come Santralistanbul. Più che un centro per l'arte contemporanea ricavato nell'ex centrale elettrica sul Corno d'Oro, la location preferita della fortunata Biennale d'Arte Contemporanea (l'ultima edizione si è conclusa lo scorso novembre) è una cerniera della multiculturalità. Un ponte verso il futuro per le tante anime di questa città.

6 marzo 2012

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