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Viaggio in Sudafrica: Cape Town la creativa

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Viaggio in Sudafrica: Cape Town la creativa

  • – di Arianna Garavaglia
Veduta aerea di Cape Town (ph South African Tourism)
Veduta aerea di Cape Town (ph South African Tourism)

Da Cape Town al centro di Berlino, grazie a YouTube. È la storia di Erin Lee Petersen, designer 30enne a capo, insieme al marito Chad, di Research Unit, azienda che produce borse e zaini con un punto vendita monomarca anche al Mitte di Berlino.

«Studiavo giornalismo all'università e per mantenermi lavoravo in un negozio che vendeva borse di brand internazionali», racconta seduta a un tavolo del Watershed, uno spazio che ospita negozi, locali e postazioni di coworking nell'area del V&A Waterfront, nella zona del porto.
«A un certo punto ho pensato che mi sarebbe piaciuto avere una linea mia. Ho cominciato a studiare i prodotti, mi sono indebitata per comprare le pelli e ho imparato a cucire grazie a centinaia di ore di tutorial di YouTube. Ho impiegato un anno e mezzo a imparare». Ora Research Unit è un marchio conosciuto in tutto il paese e al negozio di Berlino si affiancherà presto uno spazio anche a Londra.

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La storia di Erin è un po' il simbolo di Cape Town, la città più antica ed europea del Sudafrica. Una città multietnica e multiculturale abitata da sudafricani di varie origini (uno dei nonni di Erin, per esempio, è malese), africani dallo Zimbabwe alla Somalia e molti europei di origine scandinava.
Qui tutti hanno un'idea e cercano di realizzarla. Un po' a causa della necessità tipica di chi viene da fuori e deve inventarsi una vita, un po' per la recessione economica, un po' anche per la giovane età della popolazione: in media i sudafricani hanno 26 anni e il coraggio di rischiare.

Ma in città l'atmosfera creativa si respira da tempo: Cape Town è stata capitale mondiale del design due anni fa e ospita le sedi di molte case di produzione cinematografica e pubblicitaria.
Girando per la città non è raro imbattersi in set di film come a Bo Kaap, il quartiere con le sue case colorate dal tetto piatto abitate da cittadini di orgine asiatica. O su set fotografici come al Woodstock Exchange, recupero industriale e hub creativo che ospita locali e designer nel lanciatissimo quartiere di Woodstock.

Woodstock, anima creativa
Woodstock è uno dei centri dell'arte di Città del Capo. Si tratta di uno dei pochi quartieri grigi cioè aree della città dove, anche durante l'apartheid, potevano vivere tutti senza distinzione di colore e origine etnica. Il quartiere segue la storia di tutte le aree popolari diventate poi modaiole. Zona elegante nell'800, nel secolo successivo viene progressivamente abbandonata e diventa un'area marginale abitata solo da chi aveva bisogno di case a basso prezzo.
Tutto cambia nel 2006 grazie a Justin Rhodes, newyorkese, e Cameron Munro, dello Zimbabwe. I due galleristi si erano conosciuti a Williamsburg, zona newyorkese all'epoca in ascesa, e avevano trovato la stessa potenzialità a Woodstock.

A loro si deve uno dei centri più importanti dell'area: The Neighbourgoods Market, mercatino bio ospitato dall'Old Biscuit Mill, vecchia fabbrica di biscotti in disuso che ogni sabato mattina si riempie di capetonians e turisti attratti dall'atmosfera rilassata e modaiola, dalla possibilità di shopping nei negozi di design, dalla musica e dai tanti stand dove provare cucine diverse e stare insieme.

Dall'apertura del mercatino la storia di Woodstock è tutta in discesa. Nel 2007 si trasferiscono qui le più importanti gallerie d'arte del paese, la Goodman Gallery (che ha lanciato, tra gli altri, anche la carriera di William Kentridge) e la Michael Stevenson Gallery, e altri seguono il loro esempio.

Oggi Woodstock è un insieme di spazi industriali restaurati, uffici per il coworking, atelier, studi dove si pratica yoga e locali.
Alcune aree sono ancora abbandonate ma il suo fascino ormai è consolidato e se ne sono accorti anche vip e giornalisti. Secondo il britannico Guardian Woodstock è «il paradiso degli hipster», per la BBC è il luogo con la scena artistica più interessante della città. Alle attrattive di Woodstock ha poi ceduto anche Michelle Obama che, nella sua visita nel 2011, ha cambiato programma per venire a pranzo qui, al The Kitchen, localino informale ormai preso d'assalto. Chi vuole seguire i passi della first lady è meglio che prenoti con un po' d'anticipo.

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