L’India è una federazione “sui generis” di 29 Stati (più 7 territori dotati di autonomia politico-amministrativa), con forma di Governo parlamentare. Lo Stato centrale ha una tendenziale prevalenza sugli Stati federati, specie nelle competenze legislative, compensata però dal peso dei radicati partiti regionali, che spesso riescono a influire sugli equilibri del Governo federale.
Le lingue ufficialmente riconosciute sono 23, compreso l’inglese, utilizzato come lingua franca per l’amministrazione della giustizia e gran parte delle funzioni pubbliche, oltre che per le relazioni tra gli Stati dell’Unione. I dialetti e gli idiomi censiti sono circa 1.600.
Il sistema parlamentare è di bicameralismo imperfetto. Il Governo in carica dal maggio del 2014 (il mandato dura 5 anni), guidato dal leader Partito nazionalista hindu (Bjp) del primo ministro Narendra Modi, può contare sulla più ampia maggioranza mai registrata negli ultimi tre decenni alla Camera bassa (Camera del popolo). Il sistema elettorale apre però la strada alla formazione di maggioranze diversi nelle due assemblee e il Bjp resta in minoranza nella Camera degli Stati, i cui rappresentanti sono eletti dai Parlamenti locali. La Camera del popolo detiene i poteri più importanti e le funzioni di indirizzo politico (è solo questa a votare la fiducia al premier), ma la Camera degli Stati, che non può essere sciolta, svolge un ruolo quasi paritario nel processo legislativo. È qui che i tentativi di riforma del Bjp si sono a lungo arenati sull’ostruzionismo dei partiti di opposizione, soprattutto del Congresso guidato da Sonia Gandhi (che nella precedente legislatura, quando era alla guida del Paese, ha subito lo stesso trattamento da parte del Bjp). L’elevata ostilità tra i due partiti maggiori rende impossibili forme di cooperazione.
Il Bjp è uno schieramento con forti connotati religiosi, socialmente conservatore e nazionalista in politica estera, è liberista in campo economico e molto concentrato sulla crescita.
Le prossime elezioni sono in programma nel 2019.
Il Parlamento si riunisce solo tre volte l’anno, per un totale di 100 giorni.
La discreta stabilità, con solo 16 primi ministri in quasi sessanta anni, e il ruolo preminente della figura del primo ministro, non garantisce efficacia all’azione di governo, che fa fatica a promuovere riforme strutturali.
Le imposte sono articolate a livello federale e statale, la giustizia viene amministrata a livello statale. Gli Stati hanno competenza esclusiva in settori come sanità, istruzione, agricoltura e pesca.
Il sistema politico e amministrativo è afflitto da un’estesa corruzione che ha favorito lo sviluppo di partiti d’ispirazione populista come l’Aam Aadmi di Arvind Kejriwal, attuale governatore del Territorio di New Delhi: un movimento nato nella capitale proprio dal malcontento verso le inefficienze, gli sprechi e la corruzione.
Il Paese è caratterizzato da un’alta litigiosità con cronico sovraccarico dei tribunali e conseguente lentezza dei processi. I costi della giustizia sono abbastanza elevati e la sua amministrazione può variare da Stato a Stato.
I Partiti nazionali sono 6, quelli di livello regionale sono circa 40.
Nel suo mandato di Governo, Modi è riuscito a varare una serie di liberalizzazioni degli investimenti esteri in diversi settori, ma le riforme più importanti restano sulla carta. Tra queste si segnalano una riforma del mercato del lavoro che razionalizzi le dozzine di norme oggi in vigore, un intrico tale che rende quasi impossibile evitare violazioni; la riforma della legge sull’acquisizione dei terreni, oggi estremamente farraginosa. È entrata finalmen te in vigore (il 1° luglio del 2017) l’imposta nazionale sul valore aggiunto che sostituisce le tasse applicate dai singoli Stati che di fatto segmentavano il mercato interno.
Il Governo ha poi ottenuto un risultato significativo riuscendo a far approvare dal Parlamento l’attesa riforma dei fallimenti, che promette di semplificare le procedure e snellire i tempi infiniti che finora rendevano difficile chiudere società fallite e recuperare i crediti.