Anche per il 2016 - quarto anno consecutivo - Vladimir Putin è stato incoronato da Forbes “persona più potente al mondo”: «Perché ottiene ciò che vuole», sintetizza la rivista che vede il presidente russo muoversi liberamente tra il suo Paese, la Siria o lo scenario delle elezioni americane - e ora, si sospetta, europee - svincolato «dalle convenzionali regole globali». Al secondo posto in classifica c'è Donald Trump, il nuovo presidente degli Stati Uniti che la giornalista russo-americana Masha Gessen vede con preoccupazione condividere con Putin l'approccio al potere, il concetto di leader come colui che ha il controllo sul Paese: «La convinzione di essere il “prescelto” - scrive la Gessen sulla New York Review of Books - offusca i confini tra il presidente e lo Stato».
Per Putin che si considera investito del sacro compito di guidare ancora la Russia, intrecciando il destino personale a quello del Paese, il 2017 sarà un anno di transizione cruciale, perché prepara la strada alle elezioni del 2018: si candiderà o no? Non ha ancora voluto confermarlo. In gioco non c'è solo il secondo - e in teoria ultimo - mandato della seconda parte del regno di Putin, che si concluderebbe nel 2024. Ma che Russia lascerà? Che ruolo resterà per uno Zar (a quel punto 72enne) dal tempo scaduto?
La strada dei prossimi 12 mesi per Putin è lastricata di incertezze, tutte decisive per il modo in cui influenzeranno il cammino verso il voto. Con una popolarità stabilmente sopra l'80% dei consensi, pochi dubitano che verrebbe rieletto. Ma il modo in cui otterrà la riconferma è cruciale per la trasmissione dei suoi anni alla storia. Il Cremlino ha bisogno di un trionfo, per coprire ogni possibile ombra, e nello stesso tempo di elezioni credibili. Qui il dilemma è rappresentato da Aleksej Navalnyj, volto più noto rimasto all'opposizione, che ha deciso di candidarsi. «Non sono ingenuo - ha detto -, so come funzionano queste cose. Ma se avessi pari accesso a media e finanziamenti, vincerei».
Partendo nettamente svantaggiato, nel 2013, Navalnyj mancò per poco il ballottaggio nella corsa alla poltrona di sindaco di Mosca. E ora Putin deve decidere se accettare il rischio di lasciargli la possibilità di conquistare una percentuale cospicua di consensi, legittimando quella che apparirebbe una vera gara, oppure bloccare la sua corsa per non dare a Navalnyj una piattaforma nazionale che il candidato anti-corruzione, di inclinazioni - dettaglio importante - nazionaliste, vorrebbe usare per promettere una Russia “normale”. Che invece di «buttar via soldi» in Siria o in Ucraina costruisce scuole e ospedali, e strade al posto delle ville dei funzionari corrotti.
La seconda grande incertezza dell'anno sarà l'andamento dell'economia, in uscita dalla fase più acuta della crisi senza però poter offrire percentuali di crescita superiori all'1 o 2%. Le riforme che davvero la scuoterebbero, pensioni o mercato del lavoro, sono tutte rinviate dopo il voto del 2018 perché ora l'imperativo è non scuotere la nave più del necessario, né mettere in discussione la presa dello Stato sui settori strategici dell'economia. Indicatori più incoraggianti si intrecciano a quelli che prevedono un anno ancora difficile per i russi. Ma con il petrolio tornato sopra la soglia dei 50 dollari, la crisi di questi anni insegna che per quanto questa possa colpire duramente, la Russia sopravvive. All'insegna della stagnazione, magari, e senza sviluppare degnamente le risorse che potrebbe sprigionare: ma con ricchezze naturali sufficienti a smentire le previsioni più cupe. Per Putin, il problema è mantenere l'equilibrio tra le difficoltà economiche di buona parte della società con la popolarità che gli serve a mantenere il controllo. Finora ci è riuscito.
Per farlo si è servito dello scacchiere internazionale, a partire dal recupero della Crimea che neppure Navalnyj contesta. In Siria, Putin era entrato in guerra a fianco di Bashar Assad per rompere l'isolamento in cui lo aveva costretto la crisi ucraina, ma ora è lui il grande burattinaio che tiene le fila tra turchi, siriani e iraniani, inclusi Israele e sauditi, e lasciando ai margini Stati Uniti, Europa, Nazioni Unite.
Eppure l'uccisione dell'ambasciatore Andrej Karlov in Turchia, le ombre sulla tragedia del Tupolev precipitato nel Mar Nero a Natale, gli attentati sempre più frequenti intorno a Latakia mostrano il prezzo del sangue che la Russia inizia a pagare pesantemente per la sua scommessa mediorientale. Il rischio terrorismo pronto a riesplodere tra il Caucaso e le città russe e le perdite militari in Siria accuratamente tenute lontane dai media sono una delle incertezze più grandi per Putin, accanto alla crisi ucraina che Mosca ha messo in stand-by per mancanza di vie d'uscita soddisfacenti. Incertezze che tra pochi giorni confluiranno nella grande novità dell'anno, il vero ingresso di Donald Trump sulla scena e tutto quello che ciò comporterà nella ridefinizione dei rapporti tra Stati Uniti e Russia. Un'alleanza senza precedenti che, come dice Trump, potrebbe creare «opportunità positive per il mondo» o materializzare i peggiori scenari: destabilizzazione del fronte Nato, mano libera a Mosca in Ucraina, guerra infinita in Siria. Già finito in un groviglio di scandali, dossier, misteri e guerre informatiche,il legame che si creerà tra Putin e la nuova Casa Bianca è gravido di incertezze per tutto il resto del mondo.
Natale 1991: Mikhail Gorbaciov annuncia in tv le dimissioni da presidente dell'Unione Sovietica, prendendo atto della dissoluzione dell'Urss.Un anniversario che i russi hanno vissuto con un misto di indifferenza, amarezza, nostalgia. Ancora più problematica, per il Cremlino, è la ricorrenza che porta il 2017: il centenario della Rivoluzione d'Ottobre. Il regime sembra indeciso sulla lettura da dare all'avvenimento da cui è derivato tutto quello che è oggi la Russia, passando per la Grande Vittoria Patriottica sul nazismo attorno a cui Putin ritrova compatto il Paese. Ma la stessa parola “rivoluzione”, l'idea di un sovvertimento del sistema preoccupa il regime, di umore tutt'altro che rivoluzionario. Molto meglio, in attesa di decidere, rifarsi a una grandezza passata ben più lontana nel tempo, e molto meno scomoda: quella del principe che nel 988 cristianizzò la Rus' di Kiev, primo embrione dello Stato russo. Il principe Vladimir il Grande ha il merito, tra l'altro, di avere il nome giusto. Così gli hanno dedicato una statua alta 18 metri, che da qualche tempo troneggia fuori dalle mura del Cremlino. Per il resto, la Russia si avvia a vivere il nuovo anno il più in fretta possibile, visto che ogni decisione è rinviata al 2018: «Autorità, imprese, aziende - scrive il giornale Kommersant - vorrebbero semplicemente saltarlo: il 2017 in Russia non ci sarà».