Vucic, ha vinto le elezioni anche se forse non avrà con il suo Partito del progresso, quello che aveva chiesto ai suoi concittadini: «Una maggioranza forte in Parlamento per rinnovare completamente il Paese». Cero è che nessuno a Belgrado, dopo la dissoluzione della Jugoslavia, ha mai avuto nelle mani tanto potere. È certo quindi che, nel bene o nel male, questo leader segnerà una svolta per la Serbia. Vucic intende rivoluzionare l’apparato statale che dà lavoro a 800mila dipendenti in un Paese che conta sette milioni di abitanti; ha detto che darà incentivi per abbattere il tasso di disoccupazione; ha dichiarato che insisterà nella battaglia contro l’economia sommersa che copre almeno un terzo del Pil.
Un’economia di ricostruire a partire dalle fondamenta
L’economia è la priorità assoluta che, guardando avanti, obbligherà Vucic a dare finalmente seguito alle tante promesse sulla privatizzazione di centinaia di imprese pubbliche che ogni anno assorbono un miliardo di euro del budget nazionale. La distensione dei rapporti con il Fondo monetario internazionale potrebbe dare maggiore tranquillità ai mercati. E poi, guardando avanti, quasi come una conseguenza delle riforme e del risanamento dei conti pubblici, la Serbia ha come obiettivo l’ingresso nell’Unione europea.
«Non è facile ma abbiamo cominciato a realizzare una Serbia moderna che sarà un riferimento per l’industria e l’agricoltura nell’area e diventerà parte integrante dell’Europa», ha dichiarato Vucic, rispolverando parte di quel nazionalismo che ha caratterizzato la sua ascesa politica. Nonostante le dichiarazioni di Vucic, l’economia serba resta in grande difficoltà; dopo una contrazione nel 2014 e una sostanziale stagnazione nel 2015 quest’anno il Pil dovrebbe crescere - secondo le previsioni del Fondo monetario internazionale - dell’1,8 per cento, senza che ancora siano stati recuperati i livelli del 1999. E il tasso di disoccupazione resta ancora sopra il 18 per cento.
Alcuni passi avanti in attesa delle privatizzazioni
Vucic era riuscito due anni fa, nei primi cento giorni di governo, a introdurre almeno quattro provvedimenti significativi per «rimuovere gli ostacoli che frenano il business, sostenere la crescita e avviare il bilancio pubblico su un cammino di stabilità nel medio-lungo termine». Il mercato del lavoro è stato riformato per ottenere maggiore flessibilità e la creazione di nuova occupazione è stata favorita anche da incentivi fiscali. Sono state approvate la nuova legge sui fallimenti e quella sul settore delle costruzioni. Sono state aiutate le piccole e medie imprese a ottenere prestiti bancari.
Sono più di 400 le imprese pubbliche pr le quali la Serbia ha deciso la privatizzazione. Non tutte sono in perdita, ma moltissime vengono «mantenute dai sussidi» dello Stato, come ha spesso sottolineato Vucic: tra queste ci sono banche e società delle telecomunicazioni. Ma anche piccole aziende che offrono servizi a livello locale e grandi gruppi dell’industria pesante: le miniere di rame Rtb di Bor, le acciaierie Zelezara di Smederevo. Colossi della farmaceutica come Galenika. E produttori di macchinari come Prva Petolekta.
Dieci anni di ritardo, serve una svolta
La Serbia sta cercando di ricostruire un’economia che per il Fondo monetario «sconta dieci anni di ritardo nelle riforme rispetto a molti Paesi dell'Europa centrale e orientale».
«Dobbiamo insistere sulle privatizzazioni, cambiare anche la mentalità delle persone - ha ripetuto Vucic - abituate da troppo tempo agli aiuti dello Stato. Abbiamo la disoccupazione troppo alta e siamo in difficoltà con il bilancio pubblico. Ma come pensiamo di tagliare il deficit se buttiamo nella spazzatura le nostre risorse? È tempo di finirla con le ipocrisie».