Dopo oltre 50 anni di miracoli economici, oggi, i pericoli per Singapore arrivano dall’invecchiamento della popolazione e dagli scricchiolii dei pilastri dell’economia, il settore manifatturiero e l’elettronica. Il tutto esacerbato dalla debolezza della domanda globale con le ovvie conseguenze per un sistema trainato dalle esportazioni. Il suo interscambio commerciale è talmente elevato - l’export supera il 190% del Pil, l’import sfiora il 170% - che il Paese risente immediatamente dell’andamento, se non dell’economia mondiale, almeno di quella dell’Asia orientale, nella quale ricopre un ruolo strategico.
Dal 1976, l’economia ha registrato una crescita media annua del 6,8%. Dopo la leggera recessione del 2009, il Pil è rimbalzato del 15,2% nel 2010. Da allora, la crescita si è stabilizzata all’interno di una fascia compresa tra il 2 e il 4%. Nel 2016 e nel 2015, il Pil è salito del 2%, dopo il +3,3% del 2014. Per il 2017 ci si attende una crescita compresa tra l’1 e il 3%.
L’anno scorso si è registrata una ripresa dell’attività manifatturiera che si sta confermando anche nel 2017. Nel 2016, il settore è cresciuto del 3,6%, dopo la contrazione del 5,1% accusata nel 2015.
La domanda globale è stato un forte traino, le esportazioni nette sono salite del 9,8%, con un contributo alla crescita del Pil pari al 2,7%. Tuttavia, le incertezze globali hanno pesato sugli investimenti scesi del 2,5%.
Per il 2017, ci si aspetta un marcato contributo alla crescita da parte dei consumi, grazie alla spesa pubblica, prevista in aumento del 5,2%, con maggiori risorse per istruzione, salute, politiche per la casa e infrastrutture. L’Economic
Development Board si aspetta investimenti per circa 10 miliardi di dollari di Singapore, pari al 2,4% del Pil. Anche il trend deflattivo sembra arrivato a fine corsa e i prezzi al consumo dovrebbero crescere dell’1%. Nel secondo trimestre del 2017, il Pil è cresciuto dello 0,4% sui tre mesi precedenti, su base annua, dopo la brusca flessione dell’1,9% accusata tra gennaio e marzo. Su base annua, il secondo trimestre consegna una crescita del 2,5%. A giugno, l’export è salito dell’8,2%, su base annua.
Singapore e Unione Europea hanno concluso i negoziati per il trattato di libero scambio il 17 ottobre del 2014. L’accordo deve ora essere approvato dalle istituzione comunitarie e dai Parlamenti nazionali. Un recente parere della Corte europea di Giustizia pone l’accordo sullo stesso piano del Ceta, l’intesa con il Canada. Non si tratta di un accordo puramente commerciale, la cui responsabilità ricadrebbe unicamente sotto la responsabilità di Bruxelles. Viene invece considerato un accordo misto, dove le responsabilità sono condivise tra Governi nazionali e Unione. Nel caso specifico, la Corte ritiene che vi siano almeno due campi dell’intesa che ricadono sotto una responsabilità condivisa: gli investimenti non diretti (di portafoglio) e i tribunali internazionali di arbitraggio. Per questa ragione l’accordo dovrà essere ratificato dai Parlamenti di tutti i Paesi membri. Per tutto quanto riguarda il commercio, vale la competenza esclusiva dell’Unione e quindi le norme relative potranno trovare applicazione provvisoria con approvazione di Europarlamento e Consiglio.
Singapore, membro dell’Asean, l’Associazione dei Paesi dell’area (insieme a Indonesia, Malesia, Brunei, Thailandia, Vietnam, Myanmar, Laos, Cambogia, Filippine), ha pochi rivali come hub per operare sui mercati asiatici. Ancora di più in vista dell’incerto futuro di Hong Kong, l’altro grande centro finanziario dell’area, offuscato dall’abbraccio della Cina.
La Città-Stato è molto costosa, ma è piuttosto facile stabilire il quartier generale qui e impiantare strutture logistiche e produttive nella contigua zona economica speciale della Malesia o sull’isola indonesiana di Batam, raggiungibile in mezz’ora di traversata, dove ci sono 12-14 parchi industriali. È la scelta già seguita da molte aziende.
I settori più dinamici sono biomedicale, farmaceutico, agroalimentare, energetico avanzato costruzioni e nautica, con il primo porto al mondo per container e 15 aziende italiane già presenti nell’attività di shipping.