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RAPPORTO PAESE | Vietnam

Nuova leadership nel segno della continuità

Il Partito comunista tiene saldo il timone

L’esercizio del potere è esclusiva del Partito comunista del Vietnam (Pcv). Il Paese è governato da una troika composta dal segretario generale del partito, dal presidente della Repubblica e dal primo ministro.

Il ricambio quinquennale dei vertici del Partito avviene all’interno del Congresso del Pcv, un momento decisivo nella vita del Vietnam, perché determina chi sarà al timone nei successivi cinque anni. Il XII Congresso si è tenuto a gennaio del 2016. Di solito noioso e di routine, questa volta è stato animato dalla sfida tra il premier in carica Nguyen Tan Dung (66 anni) e il segretario uscente del Pcv, Nguyen Phu Trong (71 anni), due personalità agli antipodi: il «capitalista» contro il «mandarino. L’ha spuntata quest’ultimo, vale a dire Trong, alla fine di un complicato processo decisionale che ha impegnato 1.510 delegati di partito nel quartier generale di Hanoi per quattro giorni. In un secondo momento vengono scelti premier e ministri del nuovo Governo, chiamato ad attuare il piano quinquennale appena varato: ad aprile è stato così nominato primo ministro Nguyen Xuan Phuc, già vice premier negli ultimi 5 anni. Resterà in carica fino al 2021.

Dung è stato l’attore principale del processo di integrazione del Paese nel sistema economico mondiale con l’adesione alla Wto e diversi accordi di libero scambio, in particolare con gli Stati Uniti, nell’ambito della Trans-pacific partnership, la Ue e la Russia. Il vincitore, Trong, è invece considerato un uomo d’apparato, espressione della linea più conservatrice del Partito. Nessuno si aspetta che si discosti troppo dalle politiche di Dung, e infatti si è immediatamente impegnato a confermare l’enfasi sulla crescita. Tra le linee guida del piano quinquennale compaiono la «creazione di condizioni favorevoli per le imprese private» e la privatizzazione delle società di Stato. Anche la riconferma nel politburo di molti uomini vicini a Dung sembra segnalare continuità d’azione. Come pure la cooptazione del governatore della Banca centrale, Nguyen Van Binh. All’inizio del Congresso, Trong aveva però dichiarato che tocca allo Stato prendere la guida dell’economia per assicurare un’equa competizione e per contrastare corruzione e clientelismo. La nuova leadership uscita dal Congresso avrà un’occasione molto propizia per spingere sulle riforme. Allo stesso tempo, potrebbe prevalere la tentazione di adagiarsi sugli allori e rallentare le riforme.

Applicare l’accordo di libero scambio con l’Unione europea, reagire al naufragio della Trans Pacific partnership, far fronte alla frenata della Cina e soprattutto completare il rinnovamento, il Doi Moi, iniziato 30 anni fa: sono le sfide che si presentano alla nuova leadership del Vietnam. Il trattato commerciale siglato con la Ue impone profonde riforme che dovranno assicurare parità di trattamento tra società statali e aziende private. L’attuazione degli impegni internazionali, insomma, è cruciale non solo dal punto di vista tariffario, in quanto gli accordi obbligano a varare importanti riforme in settori molto sensibili per un’economia in via di transizione. Il Vietnam dovrà anche aprire gli appalti pubblici ai fornitori stranieri, promuovere un’autorità della concorrenza veramente indipendente, elevare gli standard ambientali e la protezione dei diritti fondamentali dei lavoratori.

Ci sono poi da definire i rapporti con la Cina, dalla quale il Paese dipende economicamente e con la quale ha un deficit commerciale crescente. Pesa però come un macigno la questione della sovranità sul Mar della Cina meridionale.
La stabilità politica garantita dal regime è uno dei fattori che determina la capacità di attrazione di capitale estero.

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