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Unicredit: la Banca di Libia sale al 4,2%

di Alessandro Graziani

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17 ottobre 2008

I fondi sovrani libici salgono, a sorpresa, al 4,23% del capitale di UniCredit e diventano il secondo azionista dietro la Fondazione Cariverona. A comprare in Borsa, incrementando la quota dello 0,9% ereditata dalla vecchia presenza in Capitalia, è stata la Banca Centrale della Libia e le controllate Lybian Foreign Bank e Lybian Investment Authority. «Li conosciamo e li apprezziamo, si tratta di un investimento che testimonia fiducia nella redditività di UniCredit nel lungo termine, nelle strategie del gruppo e del suo management», hanno commentato dalla banca guidata dall'amministratore delegato Alessandro Profumo. Un ingresso che dunque il vertice giudica gradito e amichevole, segnalando al contempo – forse anche per tranquillizzare il Governo, proprio all'indomani dei timori del premier Silvio Berlusconi sulle possibili Opa ostili da parte di fondi sovrani arabi – che la logica ispiratrice dei libici è quella dell'investitore istituzionale intenzionato a rispettare le clausole statutarie che fissano al 5% il tetto ai diritti di voto nelle assemblee di UniCredit. In Borsa, dove il titolo aveva perso il 13,07% nella sessione ordinaria, le quotazioni hanno recuperato terreno nell'After Hours con un rimbalzo del 6%.
Azionisti fin dal 1997 della ex Banca di Roma, i libici salirono nel 2003 fino al 5% nel capitale dell'istituto romano. Dopo la fusione tra Capitalia e UniCredit di un anno fa, la quota libica si diluì fino allo 0,9% circa. E su quei livelli sarebbe rimasta stabile fino a venti giorni fa, quando UniCredit decise di procedere al maxi-piano da 6,6 miliardi per rafforzare la dotazione patrimoniale. E' in quei giorni che Roberto Nicastro, uno dei tre deputy ceo di UniCredit, contatta gli investitori libici per sondarli su un loro interesse a investire nel gruppo. Nicastro, ex Mc Kinsey come Profumo, ha fin dall'epoca della sua esperienza da superconsulente stretti legami con la Libia e con i fondi sovrani del Paese guidato da Gheddafi. I libici hanno dato disponibilità a investire fino a un massimo di 500 milioni nel consorzio di garanzia del prestito obbligazionario convertibile da 3 miliardi. Del loro ingresso come sottoscrittori del bond, Profumo aveva parlato al cda del 5 ottobre che ha deliberato la ricapitalizzazione. I contatti sarebbero stati davvero seguiti direttamente dal vertice di UniCredit, senza alcuna mediazione da parte di tradizionali «sponsor» finanziari dei libici in Italia come il presidente di Mediobanca Cesare Geronzi o il finanziere tunisino Tarak Ben Ammar, vicino a Berlusconi.

Proprio in quei giorni di contatti con i vertici della banca, i libici decidono di investire anche direttamente – e da subito – nel capitale di UniCredit. E' quindi nelle ultime due settimane che scattano gli acquisti che portano i tre soggetti dallo 0,9 al 4,23%. Un rastrellamento che sarebbe stato comunicato alla Consob solo ieri a metà giornata. E la Commissione, che già stava monitorando alcune anomalie sull'andamento del titolo UniCredit nelle ultime due settimane, è probabile che vorrà capire se tutte le regole di comunicazione al mercato sono state rispettate.

Se la Consob è apparsa sorpresa dal blitz borsistico dei libici in UniCredit, anche il Governo – che ha dato disponibilità a entrare nel capitale delle banche in caso di necessità – pare che fosse totalmente all'oscuro dell'operazione. Si dice che Profumo, lo scorso 5 ottobre, avesse informato il ministro dell'Economia Giulio Tremonti sulla disponibilità dei libici a garantire i 500 milioni del convertibile. Si sa che Profumo ieri ha informato personalmente il Governatore della Banca d'Italia Mario Draghi. Ma non risulta che nè il ministro, nè il Governo siano stati avvisati dell'ingresso diretto dei fondi di Gheddafi nel capitale di UniCredit. Da Roma non arrivano commenti ufficiali, ma non è difficile ipotizzare che l'assenza di informativa, e forse l'intera operazione di ingresso dei libici – proprio nel momento in cui il Governo si mobilita per aiutare le banche a uscire dalla crisi – abbia creato qualche malumore ai vertici del ministero dell'Economia.

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