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Nel caso dell'influenza suina, si tratta di un nuovo ceppo virale. Per quanto strutturalmente simile ai virus dell'influenza umana, occorre per prima cosa isolare il virus, poi studiare come assemblare il vaccino (quali proteine del virus inserire per riuscire a stimolare il sistema immunitario) e infine occorre un periodo di tempo di alcuni mesi per la produzione industriale del vaccino. Alcune aziende si dicono pronte a produrre il vaccino in pochi mesi (circa 6), ma non è da escludere che i tempi possano essere più lunghi.
Il problema maggiore è in ogni caso il vaccino non sarà disponibile per l'epidemia di influenza suina in corso in Messico. Potrebbe essere disponibile in futuro se dopo la stagione estiva il virus dell'influenza suina continuasse malauguratamente a circolare. Occorre però considerare due aspetti: che non ci sarebbe comunque tempo per studiare l'efficacia del vaccino, e che i virus dell'influenza si modificano continuamente e quindi il vaccino studiato oggi basandosi sul ceppo che sta circolando in Messico potrebbe non offrire una copertura adeguata in una futura epidemia.
Se veramente si arrivasse a una pandemia il numero di antivirali disponibili copra 4 milioni di persone (almeno in Italia così ci è stato detto) ma in Italia da gli ultimi dati siamo in 60 milioni di persone, ne mancano 56 milioni all'appello.
E' vero che non saremo tutti colpiti se dovesse arrivare, ma avere degli antivirali ancora non incapsulati e non arrivare neppure a coprire il 10% delle persone mi sembra sottovalutare il caso.
E' necessario distinguere il problema della gestione di un'eventuale epidemia di influenza suina dal problema delle scorte di farmaci.
Se dovessimo trovarci di fronte a un'epidemia dovranno essere messi in atto diversi tipi di interventi, e i farmaci rappresentano solo una delle possibili strategie a disposizione.
Le esperienze recenti (SARS, influenza aviaria) insegnano che il controllo delle epidemie si raggiunge soprattutto con misure di base di salute pubblica (osservanza delle norme igieniche, utilizzo delle mascherine, isolamento degli ammalati, quarantena delle persone che sono state in contatto con gli ammalati). La SARS è stata sconfitta sostanzialmente con gli stessi metodi (aggiornati e migliorati) che erano stati impiegati nei secoli passati per le epidemie di peste, non con i farmaci nè con la tecnologia.
Questa precisazione è necessaria per cercare di spiegare come non tutta la popolazione italiana dovrà essere curata con i farmaci. I farmaci saranno necessari per le persone maggiormente a rischio, perché già contagiate o, eventualmente, perché entrate in contatto con un ammalato. Il fatto che la maggior parte di farmaco è presente in polvere e deve essere incapsulato non è di per sè un pericolo. Anzi, è in parte una misura di uso oculato delle risorse.
Nell'autunno 2005, di fronte allo spettro dell'influenza aviaria, molte nazioni hanno creato delle scorte di farmaci antivirali. I farmaci hanno però una scadenza e in parte questi farmaci sono andati "sprecati".
Un'epidemia non scoppia nell'arco di pochi giorni; in caso di necessità ci sarà il tempo necessario per la produzione dei farmaci sufficienti per far fronte all'emergenza.
Credo, infine, che sia importante sottolineare come sia del tutto inutile e potenzialmente dannoso che le singole persone facciano incetta di medicinali. Semmai dovesse esserci un'epidemia in Italia è opportuno che siano gli operatori sanitari a valutare chi necessiti della terapia farmacologica. Un uso sconsiderato e irrazionale degli antivirali potrebbe comportare rischi per la salute dei pazienti e lo sviluppo di ceppi di virus resistenti.
* Laboratorio per la Salute Materno Infantile
Dipartimento di Salute Pubblica
Istituto di Ricerche Farmacologiche "Mario Negri"