Il dibattito aperto dall'editoriale del direttore del Sole 24 Ore sull'attendibilità del web, la necessità di darsi regole condivise insieme con strumenti di verifica delle informazioni e le vivaci reazioni del cosiddetto popolo della Rete sono la spia dell'importanza delle questioni sollevate dall'articolo e della sensibilità con cui sono vissute da una parte degli utenti di internet.
Il punto nodale è che anche in un mondo virtuale dimostriamo «quella volontà di verità che ha attraversato tanti secoli della nostra storia» che il filosofo Michel Foucault considerava l'asse motore delle retoriche e delle pratiche di esclusione e inclusione della cultura occidentale, il perno intorno al quale si è storicamente organizzata in modo binario la conoscenza (vero/falso), la morale (bene/male) e l'estetica (bello/brutto).
Riflettere criticamente sul mondo di internet è utile perché ormai esso è entrato nel nostro uso quotidiano ed è facile prevedere che il suo spazio nelle nostre vite si dilaterà sul piano quantitativo e qualitativo. Ma bisogna farlo liberandosi dal timore di sembrare passatisti o alieni dal progresso, accettando di confrontarsi con la realtà di questa nuova locomotiva del XXI secolo senza indulgere in inutili demonizzazioni o facili entusiasmi, ma appunto col maggiore senso critico di cui siamo capaci. Naturalmente un tema simile interessa da vicino anche gli studiosi di storia perché il web non è solo una tecnica, ma anche un diverso approccio con la realtà e un differente modo di guardarla al quale è impossibile non essere sensibili.
Il primo problema concerne la strutturazione di un tempo continuo e orizzontale fagocitato a ritmi vertiginosi rispetto al passato, un'invasione di memoria dopo l'altra, ciascuna caratterizzata da una labilità costitutiva che si acconcia alla nostra famelica necessità di consumare prodotti sempre nuovi a condizione di avere dimenticato i precedenti. È un consumo che richiede l'oblio del processo di origine e di formazione, ma ha la capacità di reificare dentro l'atto ogni volta l'idea di libertà. Da questa strutturazione dello spazio virtuale deriva una perdita di profondità e di verticalità del rapporto percettivo tra tempo e individuo che influenza la struttura della narrazione storica, ma anche le modalità di ricerca e la pedagogia dell'insegnamento.
La seconda questione riguarda l'attendibilità dei dati presenti su internet, ove sono strutturalmente mescolati l'alto e il basso, il giusto e l'errato, il vero e il falso, l'urlo e il sussurro. Un calderone sempre in ebollizione e perciò altamente attraente e persuasivo nel quale bisogna orientarsi imparando a distinguere gerarchie di qualità e di valore. A questo proposito il successo e i limiti dell'enciclopedia Wikipedia sono esemplari. Il problema non interessa l'origine pratica dell'errore, che è presente in qualunque piattaforma ed esperienza gnoseologica, ma nel metodo che impedisce di individuarlo e che anzi tende a moltiplicarlo a dismisura perché le forze dei controllori sono impari rispetto all'invasione di quanti immettono sempre nuovi dati da verificare. L'equivoco di fondo non sta nella pretesa da parte di Wikipedia di considerarsi un'enciclopedia, ma di essere giudicata tale dai suoi utenti che accolgono un'erronea e fuorviante sovrapposizione tra informazione e conoscenza. Il primo è un dato, il secondo un processo che implica i concetti di responsabilizzazione autoriale, di validazione delle notizie, di riconoscibilità degli intermediari e di verificabilità del percorso effettuato.
Il terzo problema riguarda l'inserimento sempre più massiccio delle fonti archivistiche su internet. Ciò sta avvenendo a prezzo di un'inevitabile selezione dei materiali e discrezionalità di scelta che certo condizionerà il futuro delle ricerche sul piano tematico perché proporsi di digitalizzare tutti i fogli conservati in un archivio storico di medie dimensioni sarebbe come volere raccogliere e catalogare uno a uno i granellini di sabbia di una spiaggia. È facilmente prevedibile che si assisterà a un sempre più accentuato spostamento dagli archivi cartacei a quelli digitalizzati, ma le ragioni che producono questo movimento sono sovente dei disvalori quali ad esempio il risparmio, la superficialità e la pigrizia. Entrano in gioco anche potenti interessi economici e la politica dovrebbe avere almeno la consapevolezza di ciò e assumersi la responsabilità di equilibrare i flussi delle risorse tra le diverse tipologie di archivio. Senza dimenticare, che conoscere un documento non significa solo leggerlo, ma anche toccarlo e vederlo negli occhi e non attraverso lo schermo di un computer che lo rimanda di per sé già semplificato: la sua materialità (carta, inchiostri, formato) rivela il contesto ed è indizio prezioso per costruire un discorso di verità intorno a esso. Youporn sta a un ipotetico e certo meno appetibile Youarchive come una donna o un uomo in carne e ossa stanno a un documento in originale, ma su questo secondo aspetto sembriamo meno sensibili alla differenza.
Il quarto problema è costituito dall'improvvisa scomparsa della cosiddetta critica delle varianti, ossia dei processi di costruzione di un testo autoriale. Siamo piuttosto sempre più invasi da una documentalità evanescente e liquida che renderà in futuro più impalpabile la ricostruzione dei movimenti preparatori e delle decisioni che hanno portato alla definizione di alcune scelte esecutive in campo culturale o politico.
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