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Tuttavia, c'erano due aspetti dell'argomento di Keynes che indicavano delle conclusioni piuttosto inquietanti. La sua genialità politica è stata quella di capire che, quando il problema consisteva in capacità inutilizzate, la ridistribuzione fosse un problema minore che poteva essere rinviata. Ma per la stessa ragione, la sua economia gettò poca luce su cosa accadrebbe alle quote salariali e ai profitti delle classi una volta che le sue politiche avrebbero ottenuto la piena occupazione in condizioni dove i sindacati fossero in grado di imporre gli aumenti salariali in anticipo della crescita della produttività. In una tale situazione, sarebbe necessario che i datori di lavoro ricreassero l'‘esercito di riserva dei disoccupati' di Marx per rimanere in attività? Oppure il governo sarebbe costretto ad aumentare il tasso di inflazione per mantenere i profitti più alti dei salari? Quest'ultima ipotesi è ciò che Jacob Viner presumeva sarebbe accaduto una volta che la società si fosse abituata alla piena occupazione.9 Keynes stesso ha ammesso che ‘non aveva nessuna soluzione …per il problema dei salari in un'economia a piena occupazione'.10 Anche i marxisti credevano che la lotta di classe sarebbe ricominciata con la piena occupazione e che i tentativi di sconfiggerla con l'inflazione avrebbero creato soltanto una soluzione temporanea. A lungo andare, quindi, il capitalismo era impegnato a mantenere un ‘esercito di riserva' dei disoccupati che potesse fungere da freno ai salari. Dove i marxisti sbagliavano era nel credere che una tale situazione, in cui i poveri ed i disoccupati erano protetti dai sussidi statali, avrebbe portato a disordini sociali diffusi. Proprio come questi ultimi giorni in Grecia hanno dimostrato, è soltanto quando una incombente bancarotta al livello governativo minaccia di revocare questi sussidi che la lotta di classe si intensifica.
Ma esiste un motivo molto più potente per l'entrata neoricardiana nel sistema keynesiana, e si trova nell'influenza dei consumi sull'investimento e sulla domanda effettiva. La teoria pre-keynesiana riteneva che ci fosse una relazione inversa tra i consumi e gli investimenti. Keynes ha ribaltato questa teoria, ritenendo che in condizioni di disoccupazione più erano alti i consumi e più elevato sarebbe stato il reddito nazionale e di conseguenza maggiore sarebbe stato il risparmio della comunità per poi poter finanziare un aumento degli investimenti.11 Il nesso di causalità, perciò, non era tra il risparmio e gli investimenti, ma tra il consumo e gli investimenti – e alla fine, al consumo senza gli investimenti quando la domanda di beni capitali si saturava. Keynes, a ogni modo, riconosceva il fatto che, in un'economia in crescita, sarebbe molto più facile mantenere la piena occupazione se il denaro andasse meno ai ricchi e più ai poveri, per via della maggiore propensione al consumo di questi ultimi.
Sin dagli anni Ottanta operiamo in base ad un principio completamente diverso, consentendo alle disparità di reddito di aumentare fino ai livelli normali negli anni venti, ma che pensavamo fossero stati eliminati. In tutto il mondo occidentale il livello mediano dei redditi è sceso come percentuale del P.I.L.; e a livello mondiale c'è stata una maggiore disuguaglianza tra i paesi ricchi e quelli poveri. In gran parte questa è stata causata dall'abbandono della politica della piena occupazione, dalla deregolamentazione del sistema finanziario e dalla liberazione dal controllo nazionale del capitale. Una delle conseguenze del nuovo paradigma è che lo stato del welfare come base del contratto sociale è stato sostituito dall'accesso al credito.
Come un commentatore americano ha scritto, ‘Mantenere la crescita della spesa per i consumi richiede un continuo eccessivo indebitamento ed una continua riduzione del tasso di risparmio.' Un continuo eccessivo indebitamento richiede che i prezzi dei beni e il rapporto debito/reddito siano sempre più alti; di qui la sistematica necessità delle bolle (che alla fine scoppiano). Nel frattempo, quando il tasso di risparmio arriva a zero, è quasi impossibile ridurre ulteriormente. Di conseguenza, alla fine si esauriscono entrambi gli elementi di motore della domanda'. E ‘il trionfo della politica della globalizzazione ha accelerato il processo e lo ha trasformato in crollo finanziario'.12
Signor Presidente, Rettore Magnifico, Signore e Signori, questo crescente divario tra ricchi e poveri è, secondo me, la vera crisi del nostro tempo. E' una crisi economica, politica e umana. Per superarla, abbiamo bisogno di una nuova economia politica radicata in Keynes, ma che si ispira ai neoricardiani, nonché di un modo più compassionevole per mettere in atto l'economia.
Note:
(1) Joan Robinson, ‘Keynes and Ricardo', Journal of Post-Keynesian Economics, 1,I, Fall 1978, pp.12-18
(2) Murray Milgate, Capital and Employment: A Study of Keynes's Economics, 1982, p.6. Le citazioni sono tratte dal mio saggio ‘Keynes e Sraffa: Un Caso di Non-Communicazione': estratto dal volume a cura di Riccardo Belliofore, Tra teoria economica e grande cultura europea: Piero Sraffa, Milano, Franco Angelli, 1986.
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